Pier Giorgio Frassati: un anno di incontri verso la canonizzazione

Sarà il Santo dei giovani e della montagna. Il beato torinese Pier Giorgio Frassati verrà canonizzato nell’anno giubilare 2025, a cento anni esatti dalla sua morte. Nell’attesa dell’evento, l’arcivescovo di Torino mons. Roberto Repole il 3 luglio apre l’anno Frassatiano, 12 mesi di speciali celebrazioni: una serie di incontri per conoscere la sua straordinaria figura di ragazzo, lo slancio della sua fede e il suo esempio di carità vissuta nella vita quotidiana. Lo speciale legame con le vette delle nostre Alpi, amate come simboli della contiguità con Dio. «Spero che sia un anno importante per la comunità cristiana e per la città, che annovera Frassati fra i suoi figli esemplari» ha spiegato l’arcivescovo nel suo messaggio di invito alla città. Un vero Santo sociale, il cui profilo si affianca a quelle di San Giovanni Bosco, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giuseppe Cafasso, San Giuseppe Allamano, San Leonardo Murialdo, San Giuseppe Marello e il Beato Francesco Faa’ di Bruno.

Sulle orme di Pier Giorgio. Messe, veglie, canti e letture per il Santo

L’articolato programma di eventi sarà inaugurato in questi giorni con un duplice appuntamento: la sera del 3 luglio a Pollone (Biella) si terranno una celebrazione eucaristica alle 18.30 presso la parrocchia di S. Eusebio Prete e una veglia con adorazione eucaristica, alle 21, nella casa di famiglia di Pier Giorgio. Il 4 luglio – anniversario della nascita al cielo del beato – la festa liturgica del beato Frassati entrerà nel vivo. Si inizierà con la preghiera delle Lodi alle 8 del mattino alla Beata Vergine delle Grazie (in Crocetta). In serata l’appuntamento sarà in Duomo, dove riposano i resti mortali del beato. Dalle 21 si prevedono:

  • una Lettura recitata “sulle orme di Pier Giorgio”
  • la presentazione dell’inno ufficiale del Centenario “verso l’alto”
  • la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino
  • l’adorazione eucaristica

Pier Giorgio Frassati, uomo delle otto beatitudini

Un esempio luminoso quello di Frassati. Nell’omelia della beatificazione, il 20 maggio del 1990, Giovanni Paolo II aveva definito il giovanescomparso a 24 anni per poliomelite fulminantel’uomo delle otto beatitudini. E davvero Frassati, quelle qualità le aveva tutte: leale con gli amici e i familiari, franco con tutti, solidale verso i poveri e i sofferenti, rispettoso della Chiesa, coraggioso e senza alcuna paura della morte. Aveva affermato San Giovanni Paolo II: «Sicuramente Pier Giorgio è un fulgido esempio da imitare per offrire un concreto contributo di rinnovamento spirituale». A dispetto della sua breve vita, Frassati seppe spiccare per l’impegno sociale e religioso, per la vicinanza e la solidarietà manifestata per le classi più umili. Per la sua santità alla portata di tutti, che anticipava di trent’anni le indicazioni date dal Concilio Vaticano II sul ruolo dei laici nella Chiesa.

Pier Giorgio Frassati. Le sue origini

Gioioso modello di vita cristiana, Frassati era di famiglia ricca e di ceto sociale elevato. Suo padre Alfredo, giurista, era lo storico direttore e proprietario del quotidiano La Stampa. Stretto amico del primo ministro Giovanni Giolitti, nel 1913 sarebbe diventato senatore e più tardi ambasciatore a Berlino. Sua madre, Adelaide Ametis era una pittrice. La coppia si era trasferita dal biellese nella tumultuosa Torino dove s’intrecciavano santità, anticlericalismo e dure lotte operaie. E qui nel 1901 nacque Pier Giorgio e, appena un anno dopo, Luciana, sorella amatissima.

«Cresciuto in una famiglia alto borghese e poco unita, Pier Giorgio Frassati porta la tempesta nella sua casa (la santità è sempre “rivoluzionaria”)», si legge nei documenti della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (3-28 ottobre 2018). Invece di adeguarsi a uno stereotipo di esistenza sterile, «lui si oppone e pur continuando, a differenza di un san Francesco d’Assisi, a vivere fra le pesanti mura domestiche, segue un cammino di perfetta carità».

Frassati e l’impegno nel laicato attivo: Azione Cattolica, Fuci, San Vincenzo

Bello, agiato e intelligente, Pier Giorgio sin da piccolo si distingueva per la sensibilità e la generosità verso i sofferenti. Durante la prima guerra mondiale, appena adolescente, inviava la sua paghetta ai soldati al fronte e alle loro famiglie. Iscritto poi al ginnasio-liceo Istituto Sociale, dei padri Gesuiti di Torino, ebbe modo di avvicinarsi alla spiritualità cristiana. E iniziò subito a impegnarsi nel laicato attivo – Azione cattolica, Fuci, il circolo Cesare Balbo, Milites Mariae – a servizio dei più fragili ed emarginati. Nel 1920 si iscriveva poi al Partito Popolare Italiano di don Sturzo.

A 19 anni Pier Giorgio entrava anche nelle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e a 21 diventava terziario domenicano, con il nome di Girolamo, in memoria di Fra’ Girolamo Savonarola. Ma non trascurava gli studi al Politecnico. Voleva diventare ingegnere minerario per stare vicino agli operai delle miniere. Non fece in tempo. La morte lo raggiunse ad appena due esami dalla conclusione del percorso. Nel 2001 gli fu riconosciuta la laurea post-mortem.

Amicizia cristiana e cattolicesimo sociale

Grazie al suo spirito aperto, Pier Giorgio non esauriva la sua fede nella preghiera. Sapeva trasferirla nella quotidianità e nell’amicizia, e «impastarla nella vita»Amante delle escursioni e delle arrampicate in vetta – tra le altre l’impegnativa Grivola per alpinisti esperti – Pier Giorgio, facendo proprio il motto «verso l’alto», portava i suoi amici in montagna. E li spingeva a innalzare lo sguardo per cogliervi il dono immenso del creato. Non a caso molti dei suoi sodali intrapresero dopo la sua morte la strada del sacerdozio. Con i ragazzi e le ragazze a lui più vicini, Pier Giorgio aveva fondato anche una compagnia «la società dei tipi loschi», con i lestofanti e le lestofantesse, ciascuno con un suo soprannome. Pier Giorgio aveva scelto per sé quello di «Robespierre». Dietro la bonomia si celava però il progetto di un’amicizia cristiana a tutto tondo, già intrisa di cattolicesimo sociale. E infatti non era raro vedere quei ragazzi all’opera nelle strade e nelle soffitte dei quartieri della Torino povera, impegnati a consegnare pacchi di viveri e a portare conforto.

Pier Giorgio Frassati e l’amore nascosto

Nel gruppo degli amici più cari di Pier Giorgio c’era anche Laura Hidalgogiovane orfana di modeste origini. Lui se ne innamorò, anche se non le confessò mai il proprio sentimento, «per non turbarla», come scrisse poi ad un amico. La ragione per cui non le dichiarò mai il suo amore era la consapevolezza che la sua famiglia non avrebbe mai accettato per un Frassati una consorte che non fosse di prestigiosa provenienza sociale. Il dolore per questa rinuncia non incrinava comunque la saldezza del suo spirito e la sua fede.

Pier Giorgio Frassati e la dedizione per la sua famiglia

Pier Giorgio nutriva per la propria famiglia un amore incondizionato. E tuttavia tra i Frassati i rapporti erano tesi. Il padre e la madre di Pier Giorgio erano sempre più distanti e lui ne temeva la separazione. Del resto lui stesso era a disagio tra le mura domestiche. Dopo il matrimonio della sorella – nozze prestigiose con il diplomatico polacco Jan Gawronski – Pier Giorgio era rimasto solo a fronteggiare i rimbrotti del padre che puntava continuamente l’indice contro i suoi non esaltanti risultati scolastici e su quelle che considerava prove di leggerezza.

Pier Giorgio e il desiderio che Il Signore lo prenda con sé

È il giugno del 25 quando Alfredo Frassati chiede al figlio di entrare nell’amministrazione de La Stampa. Non lo fa personalmente, ma attraverso un amico cronista, Giuseppe Cassone. Pier Giorgio per non contrariare il padre, accetta. Ma perde la sua proverbiale allegria e la serenità. Sembra quasi un presagio della fine imminente. Un giorno, ad un amico che gli aveva domandato che cosa avrebbe voluto fare dopo gli studi, lui rispose: «Non lo so: sacerdote no, perché è una missione troppo grande e non ne sono degno; il matrimonio no. L’unica soluzione sarebbe quella che il Signore mi prendesse con sé».

Frassati: «Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita»

La malattia – una poliomelite fulminante probabilmente contratta in una delle case dove si recava a prestare aiuto ai poveri – lo consuma rapidissima, in appena 6 giorni. Ancora una volta la famiglia – concentrata sull’agonia dell’anziana nonna Ametis – non comprende le sofferenze del giovane. Del resto non un lamento uscirà dalla sua bocca, non una richiesta di aiuto. «Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita» aveva detto ad un amico. E quel giorno doveva arrivare a breve: il 4 luglio 1925.

Le grandi incomprensioni famigliari svaniscono di colpo. Di fronte alla bara del figlio «ribelle», Alfredo capisce improvvisamente quanto il figlio sia amato da migliaia e migliaia di persone e di poveri della Torino semplice e umile. Da qui, dalla scoperta della grandezza umana e spirituale del figlio, Alfredo inizia il faticoso cammino che lo condurrà alla conversione. Scrive Alfredo alla propria madre: «Giorgio era un santo, oggi lo riconoscono tutti. Ma il povero Pier Giorgio non c’è più e la mia vita è finita. Avevo troppo. Ora sono il più povero dei poveri. Nessuno può darmi anche la minima parte di quello che mi fu tolto».

Paola Cappa – Agd notizie