L’Omelia del cardinale Zuppi per padre Girotti

La Messa in duomo con il cardinale Zuppi.

Nel duomo di Alba, oggi, giovedì 25 aprile, è stata celebrata la Messa per il decennale della beatificazione di padre Giuseppe Girotti. Oltre al vescovo Marco Brunetti, vi era il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi.

Di seguito, il testo integrale dell’Omelia.

La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata».

La luce dei martiri venne giudicata inutile, condannata, disprezzata. Gesù si fa vittima perché non ci siano più Abele e perché ci sia salvezza anche per Caino. I martiri sono testimoni del suo amore, dono di verità e di bene, sentinelle che con la loro vita aiutano a cercare l’alba, a credere alla luce quando tutto intorno è buio, a sentire l’amore di Dio quando si è abbandonati da tutti.

Oggi ricordiamo un beato martire, padre Girotti ringraziando della sua beatificazione e con lui contempliamo la moltitudine immensa, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che tengono rami di palma nelle loro mani e gridano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello», quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’agnello. (Aop.7,9).

È una moltitudine antica a contemporanea, di ieri e di oggi, di santi innocenti vittime inconsapevoli di una violenza che divora la vita, di persone che hanno resistito al male, che non si sono compromessi, che hanno confessato l’amore di Cristo cercandola giustizia e l’amore. «Ci stanno davanti come luci in una notte buia, scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l’odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l’opera dell’odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male», disse Papa benedetto ad Auschwitz.

Davanti al male tutti i discepoli di Gesù scapparono, tanti lo insultarono gridando salva te stesso, pensa per te, non dire I care ma me ne frego, come fanno tutti. I martiri non sono eroi, come se per resistere al male bisogna essere superuomini. Sono restati perché hanno amato. Resta chi ama, magari pieno di paure, ma con un amore più grande delle sue paure. Quanto è importante avere la luce dell’amore accesa.

Questa è la santità, l’amore che non finisce già oggi, su questa Terra, luce in una notte così oscura, che cancella la vita, che non sa difenderla, che addirittura chiama libertà e diritto la possibilità di spegnerla, invece di aiutarsi e curarsi, fragili come siamo in questa debolissima condizione umana!

Abbiamo un grande debito verso padre Giuseppe e i martiri e non possiamo dimenticarli. Lo capiamo ancora meglio oggi giorno in cui il nostro sentimento di grazie si unisce alla memoria della liberazione del nostro paese dalla guerra e da tutto ciò che l’ha causata, l’ideologia nazista e fascista.

È il giorno della liberazione alla guerra e dalla cultura della guerra, dall’idea mitica dell’uomo superiore, dalle politiche razziste o antisemite, dal disprezzo della vita di quanti erano considerati inutili perché malati o asociali, dalla discriminazione politica, dal soffocamento di ogni libertà attraverso l’imposizione a cominciare da quella ottenuta dai mezzi di comunicazione. E la pace non è mai per sempre, richiede sempre l’impegno a difenderla ripudiando la guerra e facendo crescere il diritto e gli strumenti pacifici.

Padre Girotti non aveva smesso di essere cristiano e umano, lui uomo di studi che poteva restare distante dai problemi. Era amante della Parola di Dio, che ha predicato con la sua vita e che non è mai una lettera morta ma viva, amore che genera vita, che fa combattere contro il male anche quando questo diventa un sistema di morte.

Come accadde per tanti anche Padre Giuseppe venne attratto con l’inganno, vigliaccheria e tradimento insopportabile e da miserabili, come il bacio di Giuda a Gesù. Accadde così a Boves per Don Giuseppe Bernardi, Antonio Vassallo e don Mario Ghibaudo, per il nostro don Giovanni Fornasini cui fu chiesto di andare a benedire una salma. Gli venne detto che c’era un partigiano ferito cui occorrevano urgenti cure da una persona di fiducia, e questa persona poteva essere il professor Diena, medico chirurgo. Sulla macchina che attendeva di fronte alla chiesa vi era effettivamente una persona sul sedile posteriore con un braccio fasciato. Padre Girotti fece trasportare il finto ferito ma la macchina era seguita a distanza da altre tre o quattro anch’esse occupate da forze fasciste della Repubblica Sociale. Il medico Diena era un ebreo.

Come sappiamo padre Giuseppe morì il giorno di Pasqua, 1° aprile del 1945, poche settimane prima della liberazione del campo di sterminio.

«Tutto quello che faccio – aveva detto al suo Priore– è solo per la carità». E la carità, quella dell’umile amico di Gesù, la esercitò fino alla fine, sempre disponibile ad ascoltare, a assolvere, a privarsi della sua piccola porzione di cibo per soccorrere i più giovani.

Padre Manziana riteneva che quello che ha caratterizzato la personalità di Girotti fosse stato soprattutto il suo impegno nel salvare gli Ebrei e verso i poveri e i bisognosi. A Dachau pronunciò una omelia sull’unità dei cristiani il 21 gennaio 1945 disse che occorreva riedificare la nostra infelicissima Europa e che “la Chiesa di Cristo era in quel tempo, e ancora lo è oggi, l’unico rifugio dell’ordine naturale nella politica e nella vita sociale, familiare, individuale ed economica, che fu, è e sempre sarà l’unico rifugio del senso di umanità, di amore e di misericordia; rifugio della verità, dei principi della retta ragione, della civiltà e della cultura. E l’azione della Chiesa suppone l’unione.”

«Tutto quello che faccio – disse un giorno al suo Priore – è solo per la carità». Ecco, per questo siamo sobri, vegliamo perché il nostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Il cristiano fa tutto per la carità di Cristo che riempie il suo cuore e dona forza, ripone la spada nel fodero, affronta mite e umile di cuore la forza terribile del male, ma non si lasci abbrutire da questo e lo sconfigge, perché il male porta solo la morte e non genera vita, perché solo l’amore porta la libertà e la pienezza della persona.

Questo è il valore della nostra Chiesa ma anche della casa comune che è l’Unione europea. Lo dobbiamo all’eredità di tutti coloro che hanno perso la vita nella tragedia della guerra. Lo dobbiamo al Vangelo che Gesù ci ha affidato e che ci rende fratelli tutti.

Scriveva Bonhoeffer, morto solo pochi giorni di padre Giuseppe, anche lui recluso in campo di concentramento: «Noi poveri, noi ricchi, eguali nella sventura, noi buoni e noi malvagi, noi uomini dalle molte cicatrici, noi testimoni di coloro che sono morti, noi ostinati, noi scoraggiati, noi duramente tormentati da lunga solitudine, fratello, noi ti cerchiamo, te noi chiamiamo. Fratello, tu m’ascolti? Fratelli, vedemmo in grave pericolo e tememmo soltanto la nostra morte. Signore dopo questi tempi di lotta, donaci i tempi della custodia. Fa che dopo tanto errare possiamo vedere l’inizio del nuovo giorno! Ti sento camminare con passi coraggiosi e fieri. Tu non vedi più l’istante, vedi tempi futuri. Fratello quando il Sole mi sarà scomparso, vivi tu per me! Lungo disteso sul mio pancale fisso la parete grigia. C’è fuori una mattina estiva che gridando di gioia alla campagna non è ancora mia. Fratelli, finché dopo la lunga notte non spunti il nostro giorno, noi resistiamo!».

Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana