L’incontro tra Alba Pompeia e Alba Iulia

Padre Gregorio e Marco Brunetti.

 

Oltre al nome, le due città condividono anche un rapporto di grande amicizia tra il popolo italiano e romeno. Stiamo parlando di Alba Pompeia, la nostra, e Iulia (in Transilvania), le cui diocesi si sono incontrate lo scorso fine settimana, sabato 10 e domenica 11 febbraio, grazie all’arcivescovo Gergely Kovács – il quale preferisce farsi chiamare padre Gregorio, dopo aver passato più di vent’anni a Roma – e l’albese Marco Brunetti, nelle vesti del padrone di casa.

Racconta quest’ultimo: «Nell’estate 2016 ho partecipato alla Gmg di Cracovia, dove ci fu un incontro con tutti i vescovi presenti, più di mille, e mentre ci salutavamo se ne avvicinò uno presentandosi come vescovo di Alba, a cui ho risposto di esserlo anche io». Da quello scambio scherzoso con György-Miklós Jakubínyi, predecessore di Gergely, è nata una conoscenza e un invito in Romania, dove Brunetti si è recato nel 2019. La pandemia non ha permesso ulteriori incontri fino allo scorso sabato quando l’amicizia è stata rinnovata.

Ricevuto in Vescovado dopo aver visitato il duomo, padre Gregorio ha raccontato la sua storia: «Sono stato ordinato sacerdote nel 1993 e diventato seminarista quando è crollato il comunismo, perciò mi hanno mandato a studiare a Roma, dove sono stato 6 anni. Poi sono tornato nella mia diocesi per svolgere il ruolo di vicario parrocchiale e nel 1997 mi hanno chiamato a Roma al Pontificio consiglio della cultura come responsabile per l’Europa centro-orientale per la lingua tedesca». Nominato cappellano del Papa nel 2000, è diventato arcivescovo di Alba Iulia nel 2019.

Una realtà, quella romena, molto diversa dalla nostra, come ha spiegato in perfetto italiano: «La nostra diocesi è più giovane, seppure abbia mille anni, visto che risale al 1009. Il nostro territorio è però più grande, due volte la Sardegna, ma rispetto all’Italia i cattolici di rito romano sono sia una minoranza religiosa, perché sono il 3,8% della popolazione, e sia linguistica, perché parliamo e facciamo tutta la pastorale in ungherese, anche se nelle grandi città si celebra in romeno o bilingue». Nonostante questa situazione implichi una tutela costante dell’identità nei confronti di ortodossi e protestanti, Gergely è fiducioso: «Ci sono toni e punti di vista diversi, ma io preferisco vedere quello che ci unisce e cercare nuovi linguaggi comuni».

Lorenzo Germano