Omelia in occasione della Giornata di Fraternità Sacerdotale

08-06-2021

“Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?

Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?”

Gli avversari e i nemici, sono essi a cadere.

 

Carissimi sacerdoti e diaconi, grazie di essere qui insieme per questa giornata di fraternità sacerdotale.

Sento uniti a noi i confratelli impediti ad essere qui per motivi di età e di salute, ma anche i nostri sacerdoti fidei donum e coloro che svolgono un ministero fuori diocesi.

Sono convinto che tutti noi sentiamo il bisogno di incontrarci e di fraternizzare guardandoci negli occhi in attesa di liberarci, appena sarà possibile delle mascherine.

Ho aperto la mia omelia con l’invocazione dell’antifona di inizio della Messa di oggi, perché in Cristo Gesù abbiamo vinto la paura, in quanto lui è la luce, la salvezza e la difesa della nostra vita.

La pandemia ci ha fiaccati, ci ha impauriti, molti di noi l’hanno vissuta sulla propria pelle e ci ha messo alla prova.

Abbiamo fatto esperienza della nostra fragilità e l’abbiamo condivisa con tanti fratelli e sorelle delle nostre comunità parrocchiali. Abbiamo sperimentato quanto fosse vero che “siamo tutti sulla stessa barca!”.

Ora che intravediamo la luce in fondo al tunnel ci domandiamo cosa rimarrà di questa esperienza che ha segnato e ferito l’umanità intera?

Tutti noi abbiamo patito la mancanza di relazioni interpersonali, anche se supplite da connessioni virtuali, e ci siamo sentiti molto soli e desiderosi di riprendere i contatti, di scambiarci opinioni, di abbracciarci nuovamente.

La fraternità sacerdotale passa anche attraverso relazioni autentiche e profonde che siamo chiamati a tessere fra di noi.

Lo sappiamo siamo diversi e talvolta non ci comprendiamo, ma la diversità può diventare ricchezza se si trasforma in dono.

La fraternità e la comunione dei sacerdoti e diaconi uniti al Vescovo sono la prima testimonianza che il popolo di Dio a noi affidato si aspetta.

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».” (Gv.13, 34-35) così ha detto Gesù ai suoi apostoli.

Cari fratelli, lasciatemi dire, con umiltà e carità estrema, che vivo con sofferenza sapere che tra noi non sempre c’è vera amicizia, vera stima, il diavolo semina anche tra noi divisioni, giudizi temerari, etichettature, forme di autoreferenzialità, atteggiamenti superbi che portano a isolarsi e tirarsi fuori…

Il Signore ci chiama alla vera fraternità, fatta di accoglienza reciproca, di sostegno umano e spirituale, per essere veramente un unico corpo sacerdotale che testimonia e annuncia unito al Vescovo il vangelo, senza risparmiarsi là dove la provvidenza ci ha posti.

La seconda lettera ai Corinzi che abbiamo letto ci dice che Gesù non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu solo il “si”!

Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria”.

Il nostro “si”, il nostro “amen” ha le radici profonde in quel sì e amen che abbiamo detto al Signore, attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo sul nostro capo, il giorno della nostra Ordinazione sacerdotale e diaconale.

Sappiamo bene che quel “sì” va rinnovato ogni giorno, soprattutto quando la nostra vita si fa faticosa, quando non comprendiamo fino in fondo quello che ci viene richiesto, quando siamo provati dalla solitudine, dalla vecchiaia e dalla malattia, quando siamo giudicati dalla nostra gente o dai nostri confratelli.

Il nostro sì al Padre per mezzo di Cristo Gesù, lo confermiamo ogni giorno, dicendo sì a questo Papa, sì a questo Vescovo, sì a questo nostro presbiterio, sì al popolo santo di Dio che ci è stato affidato…. e che non abbiamo scelto!

Il Can. Chiesa, di cui questa mattina, abbiamo ricordato la sua venerabile figura, diventa per tutti noi un esempio e un modello e guardando a lui e al suo ministero noi possiamo proseguire quell’opera di evangelizzazione di cui siamo i prosecutori nell’oggi, nel presente di quest’epoca così difficile.

Lui ha saputo essere un vero “sì” al Signore, alla Chiesa e al presbiterio di cui si sentiva intimamente parte sempre unito al suo Vescovo.

Noi tutti siamo chiamati anche ad essere sale e luce del mondo, come ci ha detto Gesù nel Vangelo.

I discepoli di Gesù sono uomini come tutti gli altri, vivono e operano nel mondo; quello che ci distingue è la fede e la carità che ci rende sale e luce, capaci di dare il vero sapore alla vita e di illuminarla con la luce del Vangelo.

Cari confratelli è tempo di riprendere il cammino, con gioia, con fiducia e speranza senza tentennamenti e pregiudizi.

Il cammino sinodale che intraprenderemo con tutte le Chiese che sono in Italia, così come ci ha spronati a fare Papa Francesco, ci aiuterà a comprendere quanto lo Spirito dice alla nostra Chiesa che è in Alba.

Il cammino come metafora della vita di fede è molto utilizzata da Papa Francesco, vorrei concludere con quanto ebbe a dire ad un incontro di giovani:

Camminare è un’arte, l’arte di guardare l’orizzonte, pensare dove io voglio andare, ma anche sopportare la stanchezza del cammino. E tante volte, il cammino è difficile. L’importante e non aver paura delle cadute, alzarsi presto e continuare ad andare. E poi camminare in comunità, con gli amici, con quelli che ci vogliono bene: questo ci aiuta, ci aiuta ad arrivare proprio alla meta a cui noi dobbiamo arrivare”.

Con questo spirito camminiamo insieme, con Gesù e Maria, Madre del cammino. Amen.