Domenica 23 novembre ha fatto ingresso come parroco nella chiesa di Cristo re
Don Gianluca Zurra, nato a Cuneo nel 1976, è stato ordinato sacerdote nel 2010. Tra gli altri ruoli oggi ri-coperti, è membro dell’Ufficio per la formazione permanente del clero e dei laici, e membro del Consiglio presbiterale e pastorale. A fine novembre, dopo un periodo trascorso a Roma nell’Azione cattolica, è diventato parroco della parrocchia albese di Cristo re.

La chiesa albese di Cristo Re durante la Messa di ingresso di don Gianluca Zurra.
Quali le sensazioni rispetto al nuovo ruolo, i progetti da avviare, i sogni e i timori?
«Ogni cambiamento è sem-pre motivo di timore, ma anche occasione per recuperare responsabilità e fiducia. Cristo re è una parrocchia con una lunga tradizione, molto grande per numero di abitanti (circa 7mila persone), un quartie-re ad alta densità abitativa e quindi complesso nelle sue dinamiche. Per questo il mio approccio sarà connotato da attenzione e rispetto. È necessa-rio entrare con umiltà in un contesto nuovo, serve osservare e avere pazienza per conoscerlo. La vitalità di quest’area è enorme, ci vivono persone di età diverse e con bisogni, modalità esistenziali e atteggiamenti eterogenei. Il mio desiderio è che la parrocchia diventi una casa, un luogo in cui chiunque lo desideri, possa trovare accompagnamento. Serve generare un senso di appartenenza e coesione. Una delle fasce di popolazione a cui rivolgo particolare attenzione è quella dei giovani: le nuove generazioni si trovano oggi ad affrontare un mo-mento storico complesso».
A cosa si riferisce?
«Sono molteplici le fragilità che i ragazzi manifestano dal punto di vista sociale, emotivo e relazionale. Oggi è molto difficile sperare guardare al futuro con un senso di serenità, lo dimostrano le notizie negative che ogni giorno ascoltiamo e tutto ciò che accade più o meno lontano da noi. Guerre, cambiamento climatico, povertà, sofferenze. Servono struttu-re e sguardi capaci di accogliere e valorizzare i giovani, che sono animati da un profondo desiderio di fede, speranza e spiritualità. Non per forza nel senso tradizionale del termine: forse i ragazzi non frequentano la Messa o i rituali come facevano un tempo, ma hanno bisogno di stare insieme agli altri, di vita di gruppo, di vicinanza. È nel legame interpersonale che molte persone trovano un significato profondo dal punto di vista esistenziale. Dovremmo iniziare ad andare là dove i ragazzi si ritrova-no, nei luoghi di incontro e aggregazione, per costruire insieme a loro sguardi di valore e sostegno. Non possiamo attendere che siano loroa venire da noi, serve un ribaltamento di prospettiva».
Negli ultimi anni è stato a Roma, lavorando proprio a contatto con i giovani. Di cosa si è occupato?
«Ero assistente nazionale dei giovani di Azione cattolica. Grazie a questa esperienza ho potuto girare l’Italia, visitando molte diocesi ed esperienze appartenenti a geografie tra loro distanti ma accomunate da alcuni elementi ricorrenti, come, appunto, la vitalità e il desiderio di crescita e legame. L’esperienzą romana ha rap-presentato qualcosa di arricchente dal punto di vista umano e spirituale, cercherò di portare con me questi insegnamenti. Una consapevolezza che ho maturato per esem-pio è che la parrocchia non deve essere legata al prete, alla singola persona: è una realtà che continua a esistere e a vivere, a prescindere dai cam-biamenti delle persone che ri-coprono ruoli istituzionali e funzioni specifiche. Non è semplice acquisire la saggez-za del “lasciare andare”, saper affrontare i cambiamenti in modo positivo ed evolutivo. Tuttavia, è proprio tornando a un “noi” che trascende gli in-dividualismi che penso sia possibile generare risorse e bellezza nelle comunità e nelle nostre quotidianità».
Maria Delfino

