Amore e unità, le due parole chiave di Leone XIV nella messa solenne, questa mattina in piazza San Pietro, per l’inizio del ministero petrino del vescovo di Roma, sotto un cielo luminoso e a tratti velato da nuvole. Una unità che, ricorda papa Prevost, non annulla le differenze ma valorizza ciascuno. «È l’ora dell’amore», invita Leone XIV e citando la Rerum Novarum di Leone XIII evidenzia che oggi possiamo chiederci se questo criterio «prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?».
Cita due volte sant’Agostino, la prima volta subito, “con il cuore colmo di gratitudine” dalle Confessioni: «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» e poi più avanti sempre parlando dell’amore e del ruolo del successore di Pietro: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo».
Leone XIV ha invitato a seguire lo spirito missionario, a camminare incontro a Dio come un unico popolo, «come fratelli tutti», con un chiaro riferimento all’enciclica di papa Francesco. «Sono stato scelto» ha detto davanti alle numerose delegazioni degli stati di tutto il mondo, cardinali, vescovi, sacerdoti, rappresentanti di numerosi religioni e tantissimi fedeli in Piazza come quelli collegati con la tv e il web «senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia».
Conferma il suo impegno per la pace (oggi incontra anche in via privata il presidente Zelensky) ciò che è già emerso in questi primi giorni del suo pontificato: «In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo siamo uno. E questa è la strada da fare». Immagina un percorso comune anche con le «Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio».
Davvero l’amore ha risuonate varie volte nella sua omelia come anche durante il Regina Caeli. Nelle cui parole è emersa la gratitudine per chi ha partecipato alla cerimonia, ha rivolto un saluto particolare alle confraternite presenti da tutti i continenti giunte a Roma per il Giubileo (lo aveva già indirizzato all’inizio dell’omelia, l’unica aggiunta rispetto al testo scritto). E poi un passaggio ancora per papa Bergoglio: «Durante la Messa ho sentito forte la presenza spirituale di Papa Francesco, che dal Cielo ci accompagna». Un riferimento al sacerdote beatificato ieri a Chambery, Camille Costa de Beauregard, vissuto tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, «testimone di grande carità pastorale».
Le sue ultime parole sono per chi soffre per la guerra, per le nuove ostilità in Myanmar, per i bambini, le famiglie e gli anziani a Gaza «ridotti alla fame», auspica per l’Ucraina che «inizino finalmente i negoziati per una pace giusta e duratura».
IL PALLIO E L’ANELLO Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo, si è svolto il rito dell’imposizione del Pallio da parte del cardinale Mario Zenari, nunzio a Damasco, e la consegna dell’Anello del Pescatore da parte del cardinale Vescovo Luis Antonio Tagle. Sono poi andati a prestare obbedienza al Papa tre cardinali a nome di tutto il Collegio: card. Frank Leo (per l’America del Nord), il card. Jaime Spengler, O.F.M., (per l’America del Sud) e il card. John Ribat, M.S.C., (per l’Oceania). E poi anche alcuni rappresentanti del Popolo di Dio: il vescovo di Callao (Perù) mons. Luis Alberto Barrera, M.C.C.J., il presbitero Guillermo Inca Pereda, il diacono Teodoro Mandato, i religiosi: Sr. Oonah O’Shea, presidente dell’Unione internazionale delle Superiore Generali, e P. Arturo Sosa, S.I., presidente dell’Unione dei Superiori Generali, una coppia di sposi, Rafael Santa Maria e Ana María Olguín, e i giovani Josemaria Diaz e Sheyla Cruz. Il Papa prima della cerimonia ha voluto compiere sulla papamobile il giro della piazza fino lungo via della Conciliazione, a termine ha incontrato le oltre 150 delegazioni provenienti da tutti i continenti.
Chiara Genisio – Agd notizie
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli Cardinali, fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, distinte autorità e membri del Corpo diplomatico, fratelli e sorelle! Saluto tutti voi con il cuore colmo di gratitudine, all’inizio del ministero che mi è stato affidato. Scriveva Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1, 1.1). In questi ultimi giorni, abbiamo vissuto un tempo particolarmente intenso. La morte di Papa Francesco ha riempito di tristezza il nostro cuore e, in quelle ore difficili, ci siamo sentiti come quelle folle di cui il Vangelo dice che erano «come pecore senza pastore» (Mt 9,36). Proprio nel giorno di Pasqua, però, abbiamo ricevuto la sua ultima benedizione e, nella luce della Risurrezione, abbiamo affrontato questo momento nella certezza che il Signore non abbandona mai il suo popolo, lo raduna quando è disperso e «lo custodisce come un pastore il suo gregge» (Ger 31,10).
In questo spirito di fede, il Collegio dei Cardinali si è riunito per il Conclave; arrivando da storie e strade diverse, abbiamo posto nelle mani di Dio il desiderio di eleggere il nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi. Accompagnati dalla vostra preghiera, abbiamo avvertito l’opera dello Spirito Santo, che ha saputo accordare i diversi strumenti musicali, facendo vibrare le corde del nostro cuore in un’unica melodia. Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia.
Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù. Ce lo narra il brano del Vangelo, che ci conduce sul lago di Tiberiade, lo stesso dove Gesù aveva iniziato la missione ricevuta dal Padre: «pescare«pescatori di uomini» l’umanità per salvarla dalle acque del male e della morte. Passando sulla riva di quel lago, aveva chiamato Pietro e gli altri primi discepoli a essere come Lui «pescatori di uomini»; e ora, dopo la risurrezione, tocca proprio a loro portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio.
Come può Pietro portare avanti questo compito? Il Vangelo ci dice che è possibile solo perché ha sperimentato nella propria vita l’amore infinito e incondizionato di Dio, anche nell’ora del fallimento e del rinnegamento. Per questo, quando è Gesù a rivolgersi a Pietro, il Vangelo usa il verbo greco agapao, che si riferisce all’amore che Dio ha per noi, al suo offrirsi senza riserve e senza calcoli, diverso da quello usato per la risposta di Pietro, che invece descrive l’amore di amicizia, che ci scambiamo tra di noi. Quando Gesù chiede a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16), si riferisce dunque all’amore del Padre. È come se Gesù gli dicesse: solo se hai conosciuto e sperimentato questo amore di Dio, che non viene mai meno, potrai pascere i miei agnelli; solo nell’amore di Dio Padre potrai amare i tuoi fratelli con un “di più”, cioè offrendo la vita per i tuoi fratelli.
A Pietro, dunque, è affidato il compito di “amare di più” e di donare la sua vita per il gregge. Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù. Lui – afferma lo stesso Apostolo Pietro – «è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo» (At 4,11). E se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate (cfr 1Pt 5,3); al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro: tutti, infatti, siamo costituiti «pietre vive» (1Pt 2,5), chiamati col nostro Battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità. Come afferma Sant’Agostino: «La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo» (Discorso 359, 9).
Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato. In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace.
Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo. Fratelli, sorelle, questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo e, con il mio predecessore Leone XIII, oggi possiamo chiederci: se questo criterio «prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?» (Lett. enc. Rerum novarum, 21). Con la luce e la forza dello Spirito Santo, costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità.
Insieme, come unico popolo, come fratelli tutti, camminiamo incontro a Dio e amiamoci a vicenda tra di noi.
Leone XIV