Allamano, un santo per la pace

Il canonico Giuseppe Allamano.

Intervista alla missionaria della Consolata, suor Felicita Muthoni Nyaga, testimone del miracolo

 

Suor Felicita Muthoni Nyaga.

Ha messo in gioco la sua vita per salvarne un’altra. Suor Felicita Muthoni Nyaga, kenyana, infermiera e missionaria della Consolata, era stata la prima a intervenire a Catrimani, nel cuore della foresta amazzonica, la mattina del 7 febbraio del 1996, per soccorrere Sorino, il giovane cacciatore Yanomami, il cui cranio era stato squarciato dalle fauci di un giaguaro. Ed è stata lei a battersi affinché l’indigeno ferito fosse trasportato in ospedale. Contro il parere dello sciamano e di tutta la tribù che, dandolo per spacciato, ne stavano già affidando l’anima agli spiriti della foresta. Circondata dalle frecce degli indigenisuor Felicita ha offerto il suo personale sacrificio nel caso in cui i chirurghi non fossero riusciti a salvare l’indio.

Su suor Felicita l’abbraccio dell’Allamano

Aveva paura suor Felicita. Ma nella cappella della sua casa, dove si era rifugiata in preghiera, sentiva l’abbraccio del suo padre fondatore, Giuseppe Allamano, in onore del quale proprio quel giorno iniziava la novena, in preparazione delle celebrazioni per l’anniversario della morte, il 16 di febbraio. A lui affidò la sorte sua e quella di Sorino, che era riuscita nel frattempo a far imbarcare su un aereo diretto a Boa Vista, prima città dove c’era un ospedale.

La canonizzazione dell’Allamano il 20 ottobre a Roma

La missionaria fu ascoltata, insieme a tutte le sue sorelle missionarie che durante l’intervento, e poi nella lunga degenza, sono state vicine al giovane. Il miracolo della guarigione di Sorino, riconosciuto questa primavera dalla Chiesa, ha portato alla canonizzazione dell’Allamano. La cui cerimonia si terrà a Roma in piazza San Pietro, il 20 ottobre.

La testimonianza di suor Felicita

Suor Felicita aveva 39 anni all’epoca dei fatti. Ora ne ha 67. È a Torino, presso la casa madre delle missionarie della Consolata, per portare la sua testimonianza del miracolo, nelle giornate che precedono la canonizzazione. Poi sarà a Roma per animare una veglia di preghiera e per le celebrazioni solenni. Quindi farà ritorno a Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce, dove con altre tre sorelle, segue le attività di catechesi per oltre 400 bambini e ragazzi.

Suor Felicita ha ancora contatti con Sorino?

«Da tempo non lo vedo. In questi 28 anni sono stata assegnata a diverse altre missioni. Ma mi giungono regolari notizie da CatrimaniSo che sta bene. Nonostante i suoi quasi 70 anni, non ha alcun acciacco. E comunque mi ricorda sempre con affetto. Un affetto ben ricambiato. Non passa giorno che non gli dedichi un pensiero».

Se non fosse stato per lei Sorino sarebbe morto…

«Sì, lo sciamano aveva già iniziato i canti di affidamento agli spiriti. E la tribù lo stava già piangendo. Però Sorino voleva vivere e me lo aveva sussurrato stringendomi la mano, quando, dopo averlo soccorso, ripulito dalla terra e bendato, sono andata, per un ultimo saluto, al suo capezzale nella maloca, la capanna dove viveva con la moglie. A quel punto sono andata dal capo-tribù e mi sono imposta con fermezza. Avevo tutte le frecce dei cacciatori contro di me. Mi sono offerta come ostaggio. Se Sorino non fosse sopravvissuto, ero pronta a morire, trapassata dalle loro armi».

Quale preghiera ha rivolto all’Allamano?

«Tornata alla mia casa, mi sono inginocchiata davanti all’altare della cappella. Tremante e febbricitante, ho chiesto tre cose al padre fondatore e alla Vergine Consolata. Che Sorino guarisse completamente. Perché nella foresta un uomo cieco o malfermo non può cavarsela, né può procurare cibo alla sua famiglia. Poi l’ho scongiurato, nel caso in cui Sorino non si fosse salvato, di darmi una grazia speciale per superare la prova di una morte violenta e dolorosa. Quindi l’ho pregato di conservare la missione di Catrimani, perché se Sorino fosse mancato, gli indios avrebbero perso la fiducia in tutte noi sorelle. E avrebbero distrutto il nostro presidio».

Distruggere la missione? Perché?

La missione di Catrimani ai giorni nostri

«Io nel fare imbarcare Sorino sull’aereo ho agito d’impulso. Per umana partecipazione. Ma senza saperlo – lo avrei scoperto poco dopo – avevo fatto un grave torto alla tribù, opponendomi alla morte. Avevo interrotto il percorso magico che lo sciamano aveva aperto per condurre Sorino tra gli spiriti della foresta. Stando alle credenze locali, lui, una volta lasciata la sua terra, non avrebbe più avuto accesso all’Utumishi, il regno dell’aldilà. Se Sorino fosse spirato in ospedale, la sua anima, secondo le convinzioni degli indigeni, non avrebbe potuto che tornare all’unico luogo che conosceva. Il suo villaggio. E qui vagare tra le capanne, senza pace, né riposo. Avrebbe seminato discordia in tutte le maloche. E la responsabilità di queste gravi conseguenze ricadeva interamente su di me. E sulla veste che indosso».

Ma Sorino è guarito completamente

«Sì le nostre preghiere sono state accolte. Le mie e quelle delle mie sorelle che a Boa Vista sono state accanto al nostro yanomami. E a mio parere è anche significativo l’intreccio delle nostre rispettive culture – io kenyana, suor Rosa Aurea, brasiliana, suor Lisadele, italiana, suor Maria da Silva, portoghese – Tutte insieme, ciascuna nella propria lingua, abbiamo invocato il padre fondatore, che ha posato il suo sguardo su di noi ed è intervenuto».

Come si è sentita quando ha saputo del riconoscimento del miracolo?

Missionarie della Consolata a Castelnuovo don Bosco

«Ricordo bene quel giorno. Ero nella nostra casa di Castelnuovo don Bosco, per un ritiro. Ho pianto di gioia per ore e ore. Per il riconoscimento che sarebbe stato attribuito al nostro padre fondatore e anche per la nostra congregazione. Per la continuità e lo sviluppo della nostra opera. Il miracolo è un fatto rivoluzionario, che va fatto giustamente conoscere al mondo. È la prova della vitalità delle missioni».

I fatti sono del 1996. Il processo di canonizzazione si è avviato nel 2021. Perché questo tempo?

«Fin dall’inizio i fatti ci sono apparsi eccezionali. Ma per noi si trattava ancora di semplice apostolato. Poi pian piano abbiamo ricostruito la vicenda. Già straordinaria era la circostanza che Sorino, col cranio aperto e la meninge squarciata, fosse riuscito a coprire a piedi una distanza di due chilometri, dal punto dell’assalto del giaguaro al suo villaggio. Anche qui ci doveva essere stata la mano di Dio. A poco a poco abbiamo preso coscienza che la guarigione di Sorino rappresentava un messaggio. E che questo messaggio ci arrivava per intercessione del nostro padre fondatore. L’episodio ci conferma che Dio si manifesta nei più piccoli, nei dimenticati dal mondo, che ci è vicino nelle nostre fragilità e fatiche. Chi conosceva Sorino, uno yanomami sperduto nella foresta? Un indigeno non cristiano, senza data di nascita certa, né carta di identità? Ma Sorino è creatura di Dio e come tale merita amore e attenzione. In tutto questo si riconosce anche il carisma dell’Allamano e del suo impegno missionario ad gentes, per la promozione di chi non ha voce».

Che cosa cambia per la congregazione ora che l’Allamano è santo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«La nostra missione si fortifica e si consolida anche il nostro legame tra sorelle. Sono certa del resto che la canonizzazione accrescerà le vocazioni. E ne assicurerà non solo a noi, ma a tutta la Chiesa. Noi e altre congregazioni siamo presenti in Africa, in Asia, in America e in Europa. E siamo sempre in prima linea. Vicine ai derelitti. Ci mettiamo a servizio di chi soffre. Cerchiamo di accendere un lume di speranza nell’incontro dei cuori. E ora di questa luce c’è sempre più bisogno, in questo mondo martoriato dalle guerre. Confido che l’Allamano porti tra i popoli il conforto della pace».

Paola Cappa – Agd notizie