Giovedì 28 febbraio, a Cussanio, presso Fossano, si è tenuto l’annuale incontro interdiocesano dei sacerdoti della provincia di Cuneo che, insieme ai loro vescovi, hanno riflettuto sui risultati del Sinodo dedicato ai giovani. Testimone prezioso e animatore dell’incontro è stato don Andrea Bozzolo, sacerdote salesiano che ha partecipato al Sinodo e ha contribuito alla redazione del Documento finale. A questo, già pubblicato, presto si affiancherà anche l’esortazione post-sinodale che papa Francesco ha annunciato per il prossimo 25 marzo.
È stato anche annunciato che il prossimo incontro dei sacerdoti sarà il 10 ottobre 2019, con la presenza di monsignor Marcello Semeraro per un discernimento a partire dall’esortazione apostolica Amoris laetitia.
Per gentile concessione del settimanale L’Unione monregalese, pubblichiamo un’intervista a don Andrea, proprio sulla sua esperienza al Sinodo e sui suoi contenuti.
INTERVISTA A DON ANDREA BOZZOLO
Don Andrea Bozzolo al Sinodo dei vescovi sui giovani, dal 3 al 28 ottobre, a Roma. A che titolo hai partecipato?
Ho partecipato come “esperto” insieme ad altri ventidue colleghi, con diverse competenze scientifiche, provenienti da tutto il mondo. Il Papa nomina questo gruppo perché collabori con i vescovi nello studio dei diversi temi. Io, in particolare, sono stato coinvolto nel gruppo di redazione del Documento finale: un compito molto delicato e impegnativo, che però mi ha offerto un punto di osservazione privilegiato.
Che cosa ha significato per te essere parte di un’assemblea così importante e quali i momenti più significativi?
Ho sentito il respiro della Chiesa universale e visto la straordinaria ricchezza e varietà del popolo di Dio nei cinque continenti. È stato impressionante, ad esempio, ascoltare dal vivo il racconto dei cristiani che sono perseguitati per la fede, la storia dei martiri di oggi, tra cui tanti giovani. Il momento più alto e significativo è stato forse quando i padri sinodali si sono interrogati sulle scelte per il futuro: lì ho percepito che non si trattava solo di progetti umani, ma che lo Spirito Santo stava aprendo strade nuove e inattese.
Puoi condividere con noi lo spunto più originale che hai raccolto in tutti questi giorni di interventi e dibattiti?
L’idea centrale che emerge dal Sinodo si può riassumere così: i giovani non hanno bisogno che la Chiesa promuova nuove attività, ma che assuma un nuovo stile. A volte le nostre comunità sono chiuse e ripiegate, i nostri linguaggi difficili da decifrare. Tutto questo crea distanza e non affascina. I giovani desiderano essere accolti e ascoltati; non vogliono risposte preconfezionate, ma sono disponibili a un dialogo schietto e aperto, rispettoso delle loro domande e inquietudini. Farsi vicini e camminare insieme, come ha fatto il Risorto con i discepoli di Emmaus, è, oggi più che mai, la condizione essenziale per trasmettere il Vangelo.
I giovani presenti come uditori si sono fatti… sentire in qualche modo? Hanno trovato ascolto e attenzione?
Il Sinodo ha visto la presenza stabile di una quarantina di giovani da tutto il mondo, che hanno parlato al Papa e ai vescovi, presentando le loro esperienze di vita. La loro presenza è stata importantissima: hanno aiutato a creare fin dall’inizio un clima di empatia, senza troppa formalità. Inoltre sono stati una cassa di risonanza preziosa per tutto il dibattito. Le loro reazioni ai diversi interventi consentivano immediatamente di percepire la sensibilità giovanile su molti temi.
La tua partecipazione al Sinodo avrà ulteriori risvolti? Sei ancora al lavoro e su quali
tematiche?
Non immagino risvolti diretti. Certamente avrò molto lavoro per l’approfondimento teologico e pastorale e anche per trasmettere il messaggio di questa esperienza nelle diverse realtà ecclesiali. Come teologo mi occupo soprattutto della riflessione sui sacramenti, in modo speciale sul matrimonio. Oggi c’è molto da fare per aiutare i giovani a scoprire che nella vita di coppia c’è qualcosa che viene da Dio e parla di Lui.
L’incontro con il Papa: le tue sensazioni, soprattutto per la sua attenzione rivolta alle nuove
generazioni…
Il Papa mi ha molto colpito per la sua profondità spirituale, e allo stesso tempo per il tratto semplice e immediato. I giovani lo apprezzano perché riconoscono in lui un testimone autentico, che parla con la vita prima che con la parola. Percepiscono che la sua autorità non è un “potere” mondano, ma una forza interiore che trasmette gioia e speranza. Vederlo da vicino, però, mi ha fatto capire quanto sia pesante la croce che il successore di Pietro deve portare ogni giorno.
Il Sinodo ha posto al centro i giovani, la fede e il discernimento vocazionale. In una recente intervista affermi che «I giudizi lapidari, come anche una vicinanza accondiscendente, non aiutano i giovani. Occorre uscire per abitare il loro mondo, come ha fatto Gesù, e rendervi accessibile la testimonianza del Vangelo». Dunque la mano della Chiesa tesa verso un mondo divenuto distante?
Non dappertutto c’è distanza tra i giovani e la Chiesa. In Africa e in Asia, ad esempio, le chiese sono piene di giovani e c’è un grande entusiasmo per la fede. Qui da noi la situazione è diversa per tanti motivi. Non si possono però incolpare i giovani per essersi allontanati dalla Chiesa; dobbiamo piuttosto rilanciare una presenza amichevole, capace di costruire relazioni senza pregiudizi e di coinvolgere in proposte autentiche. Solo così faremo scoprire il Cristo “eternamente giovane” di cui parlava san Paolo VI a conclusione del Concilio.
Quanto ha influito, sulle tue considerazioni sul mondo dei giovani, l’esperienza maturata in qualità di docente di teologia sistematica presso la Facoltà di teologia (sezione di Torino) della Pontificia università salesiana?
Vivo un’esperienza un po’ particolare, perché per un verso sono impegnato nello studio e nell’insegnamento della teologia, e per l’altro sono a contatto con tanti giovani. Unire questi due aspetti è importante: don Bosco ci ha insegnato che i giovani si conoscono solo standoci in mezzo.
da L’Unione monregalese