Festa del Seminario nel segno di don Natale Bussi a 30 anni dalla morte

ALBA Giovedì 25 gennaio, i sacerdoti albesi hanno celebrato la tradizionale Festa del Seminario. Nell’occasione è stato ricordato un grande rappresentante del clero albese che nel Seminario ha trascorso buona parte della sua vita, come rettore e insegnante di teologia, don Natale Bussi, del quale il 14 marzo ricorre il trentennale della  morte. Dopo l’introduzione del vescovo Marco Brunetti, hanno preso la parola per un ricordo della figura di don Bussi, monsignor Cesare Battaglino e il professor Battista Galvagno (di cui pubblichiamo la relazione). A don Bussi è stata intitolata l’aula magna del Seminario.

Il mio ricordo di don Bussi

Ho conosciuto don Bussi nel 1962, quando, entrato in Seminario, in prima media, ho incontrato la figura austera e maestosa del Rettore. Incuteva rispetto già solo per la statura e per i misteriosi occhiali scuri. Per fortuna, noi avevano a che fare con il Vicerettore, don Boero, che almeno sul piano della statura era più alla nostra portata! I nostri rapporti con il Rettore erano radi: a fine trimestre veniva in studio a “leggere” i voti trimestrali; spesso lo vedevamo passeggiare, dopo pranzo, dietro le vetrate del primo piano; qualche volta si affacciava ad una finestra per guardare noi intenti a giocare nel cortile. Ogni tanto compariva a sorpresa in refettorio, mentre eravamo a tavola: si informava del cibo, si avvicinava alla cesta del pane per verificare che non fosse vuota: ricordando che lui, da seminarista, aveva sofferto la fame, si sincerava che noi avessimo cibo a sufficienza. Giunto in Teologia, ho seguito il primo corso con don Bussi nel 1970 e tre anni dopo, nel 1973 ho seguito l’ultimo corso di Dogmatica qui in Seminario, prima del trasferimento dei corsi a Fossano.

Proverò dunque a tracciare un ritratto del don Bussi che ho conosciuto io, esplicitando il metodo che ho seguito. Sappiamo che ci sono due modi di fare storia, di ricordare una persona che non c’è più. Faccio l’esempio dei vangeli. C’è il metodo scelto da Matteo e Luca: scandagliare la memoria, ma poi fare ricerche accurate, cercando testi, interrogando testimoni. Avrei potuto fare così: rileggere i testi scritti da don Bussi – cosa che parzialmente ho fatto! – rileggere il libro di testimonianze su di lui – ho fatto anche questo! – interrogare quanti l’hanno conosciuto, tra cui molti dei presenti, mettendo insieme tante testimonianze, per tracciare un ritratto il più possibile completo e fedele. È il progetto avviato a livello diocesano.

Ma c’è un secondo modo di fare storia, quello scelto da Giovanni, per scrivere il quarto vangelo: mettere da parte la preoccupazione di dire tutto e lasciar affiorare dalla memoria gli eventi più significativi, quelli essenziali a tratteggiare il personaggio, tentando di ri-comprenderli nel presente, alla luce del tempo ormai trascorso. È il metodo che ho scelto io: non ho dunque nessuna pretesa di offrire un ritratto completo, né una impossibile sintesi teologica; mi limiterò ad alcune pennellate su don Bussi – con uno stile che potremmo definire impressionistico – cercando di cogliere alcuni tratti della sua figura.

In questo lavoro mi sono lasciato guidare da una pagina dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco – il n. 236, in cui egli esplicita la sua visione filosofica dell’uomo, “l’umanesimo poliedrico” – una pagina in impressionante sintonia con l’idea-chiave della sintesi teologica di don Bussi: anche il mistero cristiano è, secondo lui, una realtà poliedrica, tanto che può essere colto dalle famose sei strutture. Queste sei strutture – come ci ha spiegato tante volte – sono sei modi diversi di dire la stessa realtà, il Mistero Cristiano, sono sei punti di vista sul mistero.

Questo vale non solo per Gesù Cristo, ma per ogni persona: ogni persona è un mistero che può essere accostata da più punti di vista. Questo vale anche per don Bussi. Cercherò allora di tracciarne il ritratto da sei punto di vista complementari, con sei pennellate, o, se preferite, con sei colori. Con una premessa: così i punti diventano sette, espressione biblica della totalità!

Premessa: la filosofia di don Bussi.

Io l’ho conosciuta solo di riflesso, perché non ho mai avuto don Bussi come professore di Filosofia. È bastato don Lisa a farmi appassionare alla materia! La teologia di don Bussi poggiava però su una solida base filosofica, facilmente individuabile e più volte esplicitata: la filosofia di San Tommaso letta e interpretata in chiave personalistica. La filosofia di San Tommaso muove dal realismo gnoseologico, che, tradotto in termini molto semplici, al limite della banalizzazione, significa che la mente umana può conoscere la realtà che ci circonda e che le parole possono “dire” questa realtà conosciuta: “Verba significant rem”! Sul piano filosofico don Bussi metteva in guardia, oltre che dal materialismo positivistico che negava la spiritualità dell’uomo, dalle filosofie soggettivistiche di stampo kantiano (secondo cui è il soggetto conoscente a dare forma alla realtà) e più ancora dalle varie forme di Idealismo (secondo cui la realtà è posta in essere dall’io). Il compito dell’uomo, in campo gnoseologico è conoscere una realtà altra da sé, cercando di arrivare alla “res”.

Quante volte don Bussi ha pronunciato la parola “res”, per indicare la cosa, la sostanza delle cose, la realtà nel suo essere profondo. Si può e si deve trovare la “res” sia nel mondo materiale, sia nel mondo spirituale sia, per analogia, nel mondo divino-trascendente.

Il fine ultimo dello studio è scoprire la “res”. Lui peraltro, grazie ad una mente prodigiosa, sapeva cogliere in un libro, in un autore, la “res”, l’idea-chiave e aveva sia il coraggio di dirla, sia la verve espositiva per farla apprezzare. Lui poteva permettersi di farlo, perché i libri li aveva letti da cima a fondo, li aveva capiti in profondità. Noi a volte ci sentivamo autorizzati a fare la stessa cosa, senza avere alle spalle letture e studi così approfonditi, coltivando la pericolosa l’illusione di sapere, avendo solo memorizzato affermazioni e giudizi, senza averli interiorizzati. Ho provato talvolta questa sensazione, frequentando, dopo aver completato gli studi teologici, l’Università statale di Torino, facoltà di Filosofia: altri insegnanti, in particolare la professoressa Bosco, mi hanno trasmesso un metodo più analitico e un atteggiamento più prudente.

Lo stile di don Bussi però un po’ mi è rimasto e mi è stato molto utile nella vita: ad un certo punto, prima o poi, bisogna venire al dunque, bisogna arrivare ad una conclusione, bisogna correre il rischio di fare affermazioni chiare e nette. Chi ha avuto il privilegio di studiare – e studiare è stato per me e per parecchi di noi un privilegio! – e chi ha l’opportunità o il compito di parlare in pubblico, ha il dovere di farsi capire. E don Bussi si faceva capire, a volte fin troppo! Ricordiamo che il suo sforzo divulgativo in campo teologico gli valse l’appellativo di “Teologo della vigna”, comparso sull’Osservatore Romano, nella recensione del “Mistero cristiano”. Ricordiamo le sue prese di posizione in campo politico, negli anni bui del fascismo, negli anni della “Tortura di Alba e dell’Albese”, tesi sviluppate, prima in articoli comparsi su Gazzetta d’Alba e poi nel libro La persona umana nella vita sociale, che hanno contribuito a formare la classe dirigente del dopoguerra, ma che l’hanno portato anche a sperimentare alcuni giorni di carcere! Questa sua parresia ci incoraggia a tracciarne l’annunciato ritratto, senza nascondere una nota di chiaroscuro.

Questo “gigante del pensiero” ha mostrato i primi segnali di crisi alla fine degli anni sessanta: abituato a trattare da pari a pari con il pensiero forte delle ideologie, camminando sul solido terreno della storia, si trovò in difficoltà a muoversi nelle sabbie mobili, in quel “mondo liquido” mirabilmente analizzato da Baumann: pensiamo alla fatica a capire la contestazione del ’68, fuori e dentro la Chiesa, a capire la cultura radicale trionfante in occasione dei referendum sul divorzio e sull’aborto, a interpretare il soggettivismo relativistico sfociato nel pensiero debole. Ma lasciamo questo aspetto che riprenderemo alla fine e vediamo di tracciare il ritratto di don Bussi.

 

  1. Struttura dialogico-relazionale – Don Bussi, uomo in dialogo.

  Don Bussi, in coerenza con la sua filosofia personalistica, con la concezione della persona come “relatio subsitens” è stato un uomo di relazioni e di apertura in un tempo in cui la Chiesa era tutta arroccata in difesa, per paura della cultura moderna: era il tempo in cui esisteva ancora l’obbligo del giuramento antimodernista per chi doveva insegnare in un seminario in una scuola di teologia, il tempo in cui per un fondato sospetto di modernismo si rischiava la sospensione a divinis. In un contesto del genere, don Bussi dialogava in modo aperto con agnostici del calibro del professor Chiodi, viveva la sua profonda amicizia con Beppe Fenoglio, meritandosi tra l’altro un richiamo da Roma per la partecipazione, con un intervento pubblico, al suo funerale civile!

Ma le relazioni fondamentali sono state quelle veicolate dalle sue lezioni o conferenze: erano le circostanze in cui dava il meglio, riuscendo ad entrare in sintonia con l’uditorio (oggi diremmo che aveva un feeling spontaneo). Saliva in cattedra con il passo del maestro, talmente sicuro del percorso da compiere, da trasmettere fiducia e incoraggiare a seguirlo nelle sue lezioni incalzanti, con un susseguirsi di argomentazioni, in un confronto serrato e continuo con la grande teologia europea. Qui, in quest’aula magna del seminario, in un tempo in cui Internet non era ancora nato e le videoconferenze erano fantascienza, noi suoi alunni avevamo il privilegio di respirare l’aria di Lovanio o della Sorbona, di dialogare con Barth, Rahner, Balthasar o di polemizzare con le ultime tesi di Bultmann. Arrivava alla cattedra generalmente con una pila di libri e spesso riusciva ad indurti a prendere in mano uno di quei testi poderosi di teologia. E quando provavi a leggerlo, magari partendo dalle pagine che lui ti aveva indicato come essenziali, scoprivi, dalle sottolineature pesanti e dai commenti a margine, scritti a matita in grossi caratteri, che lui li aveva già letti, tutti! Sapere che qualcuno aveva camminato prima di te su quegli impervi sentieri era una rassicurazione, una spinta a proseguire la lettura. Questa è la relazione formativa tra maestro e allievi, la relazione che fa crescere un giovane dal punto di vista culturale e personale.

 

  1. Struttura Cristica – Don Bussi, innamorato di Cristo.

  Don Bussi può essere annoverato – per citare il titolo di un volumetto di quegli anni – tra i “Cristocentrici temerari”. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio era per lui il cuore, la “res” del Cristianesimo. Arrivare all’incontro personale con Cristo era il fine non solo della ricerca teologica, ma della vita. Comprendiamo quindi il suo entusiasmo per la teologia fortemente cristocentrica di Karl Barth: aspettava con impazienza l’uscita di ogni nuovo volume della Dogmatik e lo leggeva immediatamente in tedesco – lingua che padroneggiava! – per poi proporre a noi la traduzione in francese.

Il suo approccio era mistico-teologico: Cristo per lui era una persona viva, con cui rapportarsi, a cui ancorare la propria vita. Erano gli anni in cui nelle facoltà teologiche europee imperversava il metodo storico-critico di analisi del Nuovo Testamento, in cui la Form-geschichte di Bultmann sembrava la nuova frontiera della teologia biblica. Sovente non era d’accordo con alcune posizioni estremiste – posizioni che peraltro nel giro di pochi anni sono state ridimensionate e oggi, dopo poco più di 50 anni sembrano confinate in un passato lontano – e allora arrivavano quegli strali polemici che rendevano appassionanti e talora anche divertenti le sue lezioni: “Questa è chimica della teologia”, “Anche se sei un teologo, non puoi dire di conoscere una persona se conosci la sua composizione chimica e dopo aver ridotto una persona alle sue componenti chimiche non puoi farla rivivere”!

Un approccio teologico a Gesù Cristo implica certo una premessa biblica, ma poi deve tendere alla conoscenza teologico personale e approdare alla mistica. In termini semplici: di fronte alla persona-Gesù è certo utile, anzi indispensabile conoscere la sua storia, l’ambiente in cui è vissuto, i testi antichi che ci parlano di lui, ma poi, aiutati dalla fede e dalla riflessione che si è snodata nei secoli della storia della Chiesa, bisogna andare alla res: provare a scoprire e a dire chi è questa persona? (Ecco la Teologia dogmatica). Poi chiedersi: quale rapporto posso avere con questa persona? (Ecco la mistica, vertice della preghiera). Dopo, ma solo dopo, la domanda: come seguirne i passi? (Ecco la morale). Don Bussi non sopportava gli studi biblici fine a se stessi, che non culminavano in questo incontro tra persone e il moralismo: una lunga serie di precetti, utili più a colpevolizzare i fedeli, che a guidarli all’incontro entusiasmante con il Cristo.

 

  1. Struttura soterica – Don Bussi e l’impegno nella storia.

Il mistero cristiano è un mistero di salvezza, ma la salvezza si gioca nella storia. La storia è stato il campo di azione prima di Cristo, poi dell’uomo. La vita di don Bussi si è ispirata alla logica dell’Incarnazione. Pur avendo vissuto la maggior parte del suo tempo in Seminario non è stato un eremita: ha vissuto in profondità i problemi del suo tempo, in ambito sia culturale che politico.

La sua prima, fondamentale forma di impegno, il primo modo di vivere i problemi del suo tempo – quello che proponeva a noi suoi studenti – era lo studio. Studiare era il modo di aprirsi al mondo e ai grandi problemi del tempo. Ci raccomandava di essere attenti al presente, non rincorrendo la cronaca, ma cercando il senso degli eventi. La logica era quella di Barth, “In una mano la Bibbia, nell’altra il giornale”, e tra i giornali consigliava, più che non i quotidiani, la lettura costante della Civiltà Cattolica, per una visione costantemente aggiornata ma anche riflessa e ponderata degli eventi.

In seminario poi, in quegli anni, si discuteva se la cosa più importante per un seminarista o un chierico fosse la vita di pietà o lo studio. Io ho sempre fatto il tifo per lo studio: era la mia grande passione, quella che mi aveva portato in seminario e motivato negli anni delle medie e del Liceo. Approdato in Teologia, ho cominciato a capire, proprio grazie a don Bussi, che le due cose erano meno alternative di quanto pensassi, che studio e vita spirituale potevano, anzi dovevano armonizzarsi. Anni dopo, durante gli studi filosofici, ho scoperto nelle parole di Edith Stein il segreto di quella sintesi tra studio e vita spirituale che avevo visto incarnata in don Bussi. La grande santa tedesca, martire ad Auschwitz, descrisse così il suo itinerario spirituale giovanile, segnato da anni di agnosticismo: “La mia preghiera era la ricerca della verità”.

Nel caso di don Bussi forse suona ancora meglio l’inversione dei termini: “La mia ricerca della verità era preghiera”, ossia comunione ininterrotta con Dio. Era questa la sua originalità, nel significato profondo della parola, perché essere originali non è dire bianco ciò che tutti gli altri vedono nero. Originalità è andare alla radice delle cose, alla “res”, è avere la pazienza di mettere fondamenta là dove gli spiriti frettolosi vorrebbero tirar su muri di “cartongesso” e, proprio grazie a questo lavoro paziente, arrivare ad intuire per primi quello che gli altri stanno ancora faticosamente cercando.

Non a caso, uno dei frutti dello studio è stato, per don Bussi, la capacità di leggere il presente. Purtroppo sono stati pochi, dentro e fuori la Chiesa a capire quanto stava accadendo e a mettere in guardia dai pericoli del Fascismo e del Nazismo, a prendere le distanze dall’Uomo della Provvidenza. Don Bussi è stato uno di questi. E non sarà solo un caso se in Europa, mentre schiere di intellettuali e filosofi, da Croce a Gentile, per non parlare di Heidegger facevano a gara nell’elogiare e sostenere Mussolini e Hitler, a mettere in guardia dai totalitarismi sono stati teologi e mistici del calibro di Dietrich Bonhoeffer (in una trasmissione radiofonica due giorni dopo l’ascesa al potere di Hitler!), Karl Barth (leader con Bonhoeffer della Chiesa confessante), Edith Stein (già monaca, con il nome di Santa Teresa Benedetta della Croce) e, qui da noi don Bussi, insieme al Vescovo Grassi e ai preti che egli menziona nel suo libro “La tortura di Alba e dell’Albese”. Chi, come i teologi e i mistici, è abituato a leggere la storia con gli occhi di Dio non solo non è un alienato, ma sa vedere la “res”, la realtà profonda, le cose che non compaiono in superficie, ma che segnano il corso della storia!

 

  1. Struttura comunitaria – Per don Bussi, la “comunione” fu la chiave per capire la vita.

  Questa struttura del mistero cristiano era per don Bussi la chiave interpretativa sia della Chiesa, negli anni del Concilio Vaticano II, sia delle persone. A questo riguardo, vorrei condividere un ricordo vivissimo. La prima volta che ascoltai una omelia di don Bussi fu al funerale di don Bertoldi, il mio professore di Italiano e Latino per i tre anni della scuola media, morto in un incidente stradale, nell’auto uscita di strada per il manto stradale ghiacciato il 20 gennaio 1966. In quell’occasione don Bussi spiegò che don Bertoldi aveva realizzato in pienezza la sua vita vivendo una triplice “comunione”: con la famiglia, con il seminario e con gli scout. Mi colpì allora, studente di quarta ginnasio, non ancora avvezzo al linguaggio teologico, questo singolare uso del termine “comunione”, un termine che poi diventerà familiare nel corso di teologia.

Si diceva di don Bussi che, con questa concezione della Chiesa come “Mistero di comunione” (è il titolo di un suo libro) avesse anticipato il Concilio. Forse è vero; certo è stato uno dei primi – e dei pochi! – a capirlo a fondo e a cercare di divulgarlo con il suo tempestivo commento ai documenti conciliari. La Chiesa come comunione don Bussi non l’ha solo insegnata; l’ha amata e servita. È stato questo attaccamento alla Chiesa ad indurlo a privilegiare il lavoro nascosto e umile. Ricordiamo il bel ritratto tracciato da Mons. Piero Rossano, nel suo intervento in occasione dei funerali: «Si alzava alle cinque, si preparava alla Messa, diceva Messa alle suore del Seminario e poi studiava fino alle otto; e poi la scuola e poi lo studio… Due libertà si prese: un mese a Parigi, nel 1938, dai Domenicani, per studiare ed approfondire in loco la cultura francese ed un mese in Germania, a Bonn, dai Domenicani, l’anno seguente, per approfondire la cultura teologica tedesca; e poi sempre ad Alba: estate e inverno […] Avrebbe potuto fare carriera universitaria, accademica: gli avevano offerto posti – me ne aveva parlato, aggiungendo però: “Lavoriamo qui, per i sacerdoti: forse c’è anche più merito a stare all’oscuro”». Se vale ancora il detto, un po’ provocatorio, dell’Imitazione di Cristo, che don Bussi ci citò durante un incontro serale di “Lettura spirituale”, “Qui multum peregrinantur, paulo sanctificantur”, don Bussi si è mosso pochissimo, si è santificato qui, abitando in seminario quasi ininterrottamente, realizzando da qui una comunione profonda con la Chiesa universale.

 

  1. Struttura agapica. Il cuore del mistero cristiano per don Bussi fu l’amore.

Certo un amore adulto, “non a parole, ma con i fatti e in verità” (1 Gv 3,18). Don Bussi insegnava che sul tema dell’amore anche le religioni possono incontrarsi e ci raccomandava di leggere il libro di Ohm, L’amore a Dio nelle religioni non cristiane nell’edizione italiana curata da Piero Rossano.

Ci spiegava che la tesi sul ruolo fondante dell’amore era il cuore della teologia del primo Balthasar, destinata ad approdare poi alla teologia mistica di Gloria. Per spiegare che l’amore è la base di tutto, citò più volte una pagina del libro di Balthasar, Solo l’amore è credibile, in cui si legge: “Quando la mamma per giorni e settimane intere ha sorriso al suo bambino, giunge il giorno in cui il bambino le risponde con un sorriso. Essa ha destato l’amore nel cuore del bambino e il bambino, svegliandosi all’amore, si sveglia alla conoscenza”. Tutto nasce da una relazione d’amore: la vita fisica, la crescita umana, la fede, la ricerca teologica, la mistica.

Questo era uno dei pochi punti di dissenso con Barth, colpevole, a causa della sua formazione luterana, di accentuare praticamente solo l’amore discendente di Dio per l’uomo.  Invece il cuore del Cristianesimo, la “res” è l’incontro tra i due amori, quello che scende dall’alto, l’amore preveniente e fondante di Dio e quello che sale dal basso, come risposta, quello dell’uomo, anticipato da Cristo. Se non si realizza questo incontro siamo in un generico mondo religioso, non nel Cristianesimo!

Ricordo ancora un intervento secco, al limite della provocazione, negli anni del post-Concilio, nel contesto di una discussione, in classe, sulla riforma liturgica: ci spiegò che ciò che conta, la “res” della liturgia, non è la lingua usata, non è la disposizione dell’altare, non sono i canti, ma sono la fede e l’amore. Se in una celebrazione bellissima e solenne nessuno fa un vero atto di fede nell’amore di Dio e non risponde ad esso, lì non c’è stata nessuna celebrazione, per lo meno nessuna celebrazione cristiana: “Se in quella chiesa non è avvenuto un incontro di amore, non c’è stata nessuna Messa!”.

 

  1. Struttura escatologica – Anche l’identità di don Bussi si completa oltre la storia.

Il mistero cristiano si è rivelato nella storia, ma avrà il suo compimento nell’eternità. Anche la costruzione della nostra identità comincia qui, ma non finisce qui. Come ricorda San Giovanni “quello che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv 3,2). Nelle lezioni sull’Escatologia, don Bussi ci insegnò che la comunione con Cristo che si realizza nel tempo autorizza a guardare con serenità e speranza “le cose ultime”, eventi di cui occorre accentuare la dimensione di mistero, relativizzando la prospettiva cosmologica della Bibbia: non possiamo più parlare di “luoghi”, parlando di Inferno, Purgatorio e Paradiso e, vivendo nel tempo, non abbiamo categorie mentali per rappresentarci l’eternità. È la comunione con Cristo che ci radica nel passato, ci fa vivere con pienezza il presente, tiene aperta per ognuno di noi la porta della speranza. Ma anche sul piano interpersonale sono i rapporti interpersonali a tenere viva la speranza.

Don Bussi fu uomo capace di guardare al futuro con speranza: sempre sul piano teologico, con qualche difficoltà sul terreno storico. Fu maestro di impegno e speranza finché l’età lo sorresse e le novità non diventarono una valanga travolgente. Abbiamo ricordato la sua lungimiranza e il suo coraggio, nell’aprire le porte della Chiesa al nuovo che avanzava. Non poté rendersi conto – ma non possiamo certo fargliene una colpa, perché sarebbe pretendere l’impossibile – della rapidità dei cambiamenti in atto. Purtroppo, mentre lui si adoperava per aprire le porte della casa – in questo caso del Seminario – le mura stavano crollando. Noi ce ne rendiamo conto oggi che la casa cristiana è in gran parte crollata, che il Seminario è crollato: non questo edificio, per fortuna, che resiste ben solido nelle sue fondamenta da quasi 500 anni, ma l’idea, lo stile di formazione, la proposta di vita che hanno segnato la vita di molti di noi e di cui siamo e saremo grati al Signore (questo, per lo meno, vale per me)! Ma quel mondo, con il suo stile di vita e di formazione è finito.

Allora ricordare don Bussi a 30 anni dalla morte significa ripartire dal punto in cui lui si è fermato, prendere in mano il testimone che lui ha lasciato cadere a terra e continuare la corsa. Quando a scuola, spiego il rapporto tra Socrate e Platone pongo la domanda: quand’è che un discepolo è fedele al maestro? Quando studia e ripete le cose dette da lui o quando continua la sua ricerca? Come si può essere fedeli a un maestro come Socrate, che insegna che la vita è ricerca, se non continuando la ricerca, andando oltre il maestro? Questo ha fatto Platone. Noi oggi ci chiediamo: come essere fedeli discepoli di un maestro che ha fatto dello studio e della ricerca il fine della sua vita? La risposta è molto semplice: continuando a studiare e a cercare, andando oltre il punto a cui lui è approdato. E come Platone è stato il completamento dell’identità di Socrate, così noi siamo chiamati ad essere il completamento dell’identità di don Bussi.

Don Bussi, come abbiamo visto, si è relazionato in modo ottimale al mondo moderno, il mondo delle ideologie, delle grandi narrazioni. Quel mondo non c’è più! Noi dobbiamo andare oltre e provare rapportarci con il mondo post-moderno. Un mondo che, ad esempio, non considera più la Chiesa né come un nemico da combattere, né come un alleato prezioso, ma come una voce tra le tante, portatrice di una delle tante “verità alternative”, a cui si può anche aderire in certi momenti della vita, ma che poi possono tranquillamente essere abbandonate. Una delle immagini più efficaci per esprimere il rapporto fede-vita oggi è secondo me quella di Derrida: la fede è come l’onda del mare che arriva su una spiaggia sabbiosa e modella la sabbia, poi si ritira e arriva l’onda successiva e lo scenario cambia. Poi arriva la bassa marea e per un po’ l’onda non raggiunge più la sabbia, la fede non tocca più la vita, poi risale l’alta marea e torna a modellare per un po’ la sabbia… La vita insomma è un’alternanza di momenti, di presenze suggestive e di vuoto, ma nulla è definitivo. Questo è il mondo in cui siamo chiamati a vivere.

È possibile oggi costruire qualcosa in uno scenario del genere? È possibile edificare sulla sabbia? Gesù, nel vangelo ci dice di no. Ma sotto la sabbia, c’è una roccia, c’è qualcosa di solido, meglio ancora di imperituro a cui ancorare la nostra vita? Don Bussi risponderebbe di sì. In uno scenario del genere la roccia è il legame personale con Cristo, l’abbraccio con lui, la fusione dei cuori, punto di approdo della vita, dello studio, della preghiera.

Noi crediamo che a questo incontro pieno, preparato con l’impegno di una vita, don Bussi è approdato 30 anni fa. Ma crediamo, anche grazie al suo insegnamento, che questo incontro può avvenire ancora oggi per noi, non importa se nel caos delle moderne città o sulla spiaggia deserta di Derrida. L’incontro con Cristo – la “res” del Cristianesimo che lui ha sempre cercato – è possibile anche oggi. Questo incontro va cercato, con l’impegno nella storia, con le relazioni vere e profonde, con lo studio, con la preghiera, con la contemplazione, perché ancora oggi può dare senso alla vita. Questo ci ha insegnato don Bussi e di questo, ricordando la sua riservatezza e l’allergia ai complimenti, gli diciamo semplicemente grazie.

Battista Galvagno

“DON BUSSI CI PARLA ANCORA”   ( WRL2 tmp; carattere 11)

25 Gennaio 2018: 30° dalla morte (* 1°Febraio 1907+14 Marzo 1988

Marzo 1946: Don Bussi  sostituisce il Can. Chiesa: prima lezione di teologia sul “De Gratia”

Pila di libri disposti sulla cattedra : “guai all’uomo unius libri!”

“Omnia probate, quod est bonum tenete!” (1 Tess.5,21)

 

1.INTRODUZIONE

*Siamo qui per ricordare Don Natale Bussi, Sacerdote  che ha lasciato il segno nella  nostra

Diocesi  e non solo da noi

*Ho accettato l’invito a dare un mio anche se modesto contributo a questa “ memoria” per

motivo di affetto e riconoscenza personale: ringrazio chi   me ne ha dato occasione.

        *Ci dividiamo i compiti; lascio all’amico professor Tista Galvagno l’illustrazione

della cultura teologica e  filosofica di Don Bussi,

Mi fermerei di più sulla persona e sul  tempo vissuto qui in Seminario, discepolo con molti altri

alla  sua scuola, tempo diventato anche drammatico negli anni  ‘40-‘45.

       *Può sembrare ripetitivo ricordare a scadenze annuali, quinquennali, decennali persone che hanno

lasciato il segno nella nostra piccola e grande storia locale per Don Bussi  sono convinto di no e

cercherò di dire il perché.

*Spero di evitare, parlando di quella stagione della nostra storia locale quello che rimproverano

sovente agli anziani come me,  di mitizzare il passato, di lamentarsi del presente, (oggi non è più e

          di aver paura del futuro ( sta per arrivare “caterina con la falce”!).

        *Lo chiamerò  semplicemente Don Bussi anche se era Canonico, Monsignore ed aveva

altri titoli ancora, qualifiche che lo facevano sorridere pur partecipando come Canonico alla

preghiera corale in quel tempo ridotta ad un giorno solo la settimana. Per  Lui era il sapere, la

cultura, i  cartesiani  “concetti chiari e distinti” che lo interessavano.

*Per chi non avesse conosciuto di persona, Don Bussi sembrava all’apparenza

burbero e severo: nel dialogo si rivelava invece semplice, disponibile…memorabile i

suo “avanti” ad alta  voce per chiunque bussava alla sua porta, pronto a dare risposte su

problema di sua competenza alla luce di una visione filosofica teologica culturale.

 

*Sono passati 30 anni dalla sua morte ma la sua memoria rimane viva in chi l’ha

incontrato e le sue opere continuano ad essere una faro di luce e  quindi  di  profezia nel

marasma di tante voci e culture che hanno fatto irruzione nel 900 e nel nostro secolo.

Chi ha avuto la ventura di incontrarlo ne ha portato con se il ricordo.

*E stato Vicerettore del Seminario e poi Rettore ma la sua vera vocazione era quella d

Prefetto degli studi. Per un certo tempo ha messo  la sua competenza a servizio della CEI

dando vita al grande manifesto del “Rinnovamento della Catechesi” in collaborazione

con Don Aldo Dalmonte Vescovo di Novara. E’ stato tra i fondatori della Facoltà  teologica di

Torino e poi quella di  Fossano.Ha partecipato come “teologo accanto al Vescovo Mons. Stoppa

al Vaticano II (1962-1965).

     *Don Nino Coppa, diventato poi Cardinale, (ci ha lasciati nel 2016), ha indicato quella stagione della

nostra Diocesi di cui parliamo  come  la “stagione dello Spirito” e di quella è stato una figura

eminente. A distanza di 30 anni dalla morte, con i suoi scritti è  in grado di parlare ancora alla nostra

società sia religiosa che civile che hanno bisogno di ritrovare punti di riferimento e di

ancoraggio nel loro cammino per saper coniugare la libertà della persona con la solidarietà

*La preoccupazione sua era che lo studio diventasse cultura non accademica  ma pastorale per

la vita personale, famigliare e sociale del popolo di Dio ancorata a Cristo. Il volume “La

persona umana nella vita sociale” nel dopoguerra è diventato un vademecumù socio-politico

.

     *Don Bussi non è però un fiore solitario nato a caso in una boscaglia, ma un sacerdote  che  ha

messo a disposizione  della Chiesa in generale e della Diocesi che è in Alba la sua dotazione

intellettuale e spirituale di straordinaria  ricchezza.

      *Sul finire dell’800 ed all’inizio del ‘900 cambia velocemente il volto della società mondiale e

locale (ad  esempio i  problemi sociali affrontati dalla “Rerum novarum” di Leone XIII) e cambia

anche nella Chiesa la riflessione teologica e filosofica nel dare loro risposta.

      *Ad Alba il Can. Chiesa,  professore di Teologia aggiungeva alle tradizionali “Lectiones   

 Theologiae dogmaticae” (diventarono quattro volumi, sui quali ha studiato teologia Mons.

Luciani,  futuro Giovanni Paolo I), aggiunse le verità sintattiche,sinfoniche, analogiche

e  pratiche, tutte in italiano, capaci d misurarsi con la cultura ed i problemi di quel momento.

      *E’ il momento nel quale il Beato Giacomo Alberione Padre spirituale del Seminario

albese fonda la famiglia delle Congregazioni paoline per dare risposta ai tempi nuovi.

     *Marzo 1946: al Can. Chiesa subentra Don Bussi nell’insegnamento della teologia.

Lo  vedemmo arrivare con una pila di libri che  ben dispose rre  sulla scrivania, incaricato

di completare l’anno scolastico con il “De gratia”, e proclamare “guai all’ “homo unius libri”.

*Con lui arrivò la sintesi “Cristocentrica” cui fece seguito, -per dirla in breve utilizzo

       la  sintesi dell’amico Galvagno nella sua tesi di laurea- “una filosofia che si può

chiamare “realismo personalistico” mutuata dal  Neotomismo e il Personalismo di

Natale Bussi dove spicca la dimensione di mistero e quella dialogico – relazionale

mutuata da Federico Ebner. I due poli sono la ricerca della verità e l’ascolto dell’altro

dal quale emerge il “trinomio del dialogo”: l’io, il tu, la verità cercati da entrambi gli

interlocutori”.

*Mi faccio portavoce di una generazione di studenti, e non, che sotto la sua guida han

incontrato Cristo come “alfa ed omega” della storia, sintesi che chiamavam

“Cristocentrismo”, sulla quale fondare la dignità della persona umana (“id quod

Perfectissimum est in tota natura” come diceva l’Aquinate o come diceva Severino

Boezio “rationalis natura individua substanzia”). Quante volte lo abbiamo sentit

proclamare da Don Bussi.

    *La globalizzazione che stiamo vivendo offre infinite opportunità anche se con dei

rischi. Accelera sempre di più la conoscenza ed il  confronto tra  religioni,  filosofie,

culture e stili di vita che ne sono derivate,: abbiamo il dovere di trovare guide sicure per attivare il

dialogo con questo mondo diventato sempre più liquido e narcisistico, offrendo l’eterna modernità

del Vangelo.

   *Celebriamo proprio oggi la “Conversione di Paolo” sulla via di Damasco, data storica

che fece di lui l’Apostolo della società pagana di quel tempo: a noi l’invito ad esserlo nel nostro

tempo e nella nostra società

*Un sacerdote del nostro Presbiterio, il Vescovo Pietro Rossano, responsabile del dicastero vaticano per il dialogo interreligioso, nel 1945, rispondendo ad un’inchiesta promossa da noi teologi su “Noi vivi,ci raccomandava da Roma di non uscire dal Seminario senza aver letto e studiato dieci volte le lettere di San Paolo, e scriveva di Don Bussi“….dai 15 anni in poi c’è stata l’avventura e la luce dei Maestri, primo fra tutti Don Bussi. Quando morì, il 14 marzo 1988, trovai sulla sua scrivania un foglietto dove scriveva che ringraziava il Signore per avergli fatto incontrare tre grandi geni nella sua vita: San Tommaso, Bart e Scheben. Io ringrazio il Signore per avermi fatto incontrare Don Bussi”. *Ed ancora ricordandolo, nel primo anniversario della morte, Rossano aplicava a don Bussi le parole di Critone nel Fedone di Platone davanti alla salma di Socrate: “Questa, o Echecrate, è la fine di un nostro amico, l’uomo, possiamo dirlo, migliore tra quelli che

conoscemmo, e soprattutto il più sapiente ed il più giusto”.

 

 *Questo ed altro ha scritto il Vescovo Rossano  Andrea Riccardi, fondatore della “Comunità di

Sant’Egidio, nel libro “Il dialogo non finisce” (Morcelliana 1994) indica Rossano come “figura

chiave del Cristianesimo contemporaneo, protagonista della complessa e straordinaria stagione del

dialogo tra le culture religiose mondiali” . Mica poco per una persona del nostro Seminario che i

un’intervista diceva  di se: “Sono nato in una famiglia semplice di  in un piccolo paese di una

piccola Diocesi ed ho studiato in un piccolo Seminario” ; e noi sappiamo alla scuola di chi ha

studiato, quella di Don Bussi.

 

*Tra i suoi scritti hanno fatto e fanno ancora storia due volumi che hanno offerto

   ed offrono ancora oggi le linee guida per entrare da cristiani nella vita politica e

sociale e da cristiani consapevoli nella Chiesa. In estrema sintesi:

La persona umana nella vita sociale”: offre una visione cristiana della persona umana liberata

dalle ideologie nefaste del ‘900 che hanno portato l’umanità allo scontro e in grado di creare una

società dell’incontro a livello famigliare, sociale ed internazionale.

“Il Mistero cristiano”: propone lo studio del cristianesimo come incontro con Cristo

e con LUI al mistero dell’incontro con un Dio che è Padre attraverso sei vi

chiamate da Don Bussi “strutture” per edificare la persona umana – cristiana.

*Quanti motivi per ricordare Don Bussi !,  ma il principale ci viene suggerito dalla

Lettera agli Ebrei che invita  a ricordare coloro che ci hanno preceduto, e che ci hanno

annunziato la parola di Dio, con l’invito ad imitarne la fede ed il tenore di vita(13,7-9)).

*Associamo alla memoria di Don Bussi anche quella del Clero della nostra Diocesi nel

quale, e lo ha scritto lo stesso Don Bussi  “In quella stagione era di casa la  “Santità”,  non

solo quella ufficialmente riconosciuta come è avvenuto per il <Venerabile> Can.

Francesco Chiesa, ed  i “Beati” Giuseppe Girotti, Giacomo Alberione e Timoteo Giaccardo, ma

quella quotidiana del servizio pastorale alle comunità.

 

*Ed è bene che queste memorie vengano non solo conclamate ma pure scritte,  poiché

come dice il “Rigestum Comunis Albae al n.38” : “ oblivionis  iacturam  frequenter

sentiunt, memoria rerum  gestarum  posteris scripto  trasmittantur”

 

 

     2.*QUALCHE FLASH ANCORA, per capire la qualità della persona: filosofo,

teologo, pastoralista; episodi vissuti-documentati

 

          *Può sembrare strano di Don Bussi nel suo curriculum di studi non è segnalata

neppure una laurea, ma di conferenze e lezioni ne ha offerte tante e se c’era un

convegno, un congresso, una “TRE  GIORNI”, (e gli anni del dopoguerra furono

tutti segnati da questi  incontri teologici, filosofici, culturali e  pastorali” nella nostra

Diocesi),la “lectio magistralis” era sempre affidata a Don Bussi che ben conosceva la

res del problema e le coordinate per  una giusta riflessione.

 

*Nell’anno 1950 esce per i tipi della Morcelliana il volumetto “Esperienze pastorali”  con la    proposta che gli studi teologici escano fuori dalle secche delle antiche discussione, ritornino alla fonte patristiche e bibliche e si confrontino con la cultura moderna. Esce un commento  ironico sull’Osservatore Romano dove si bolla l’autore come “Teologo delle vigne” (Bussi era di Santo Stefano Belbo, zona pregiata di vigne, Parrocchia della nostra Diocesi dove cultura e dibattiti erano all’ordine del giorno;

 

*Bello incontrare Don Bussi sotto il pergolato nel giardino del Vescovado con le forbici in mano

impegnato a potare le viti ed a chi lo incontrava non mancava di dira “Pater  meus agricola est”.

 

*Per capire, era tempo di polemiche su piano nazionale: tempo di Don Milani, di Don Mazzolari

di Don Zeno Saltini e Nomadelfia, dei Preti operai, degli schieramenti politico-ideologici destra-

sinistra.  In questo clima da noi emerero due eminenti scrittori, Pavese e Fenoglio: Don Bussi

insegnava sempre  che è meglio affidarsi all’ et-et e non all’ aut aut”: “omnia probate, quod bonum

est tenete” (Ts  5, 21)

 

*Un giorno, riferendosi a Don Bussi (così racconta Mons. Rossano), Don Agostino uscì in questa espressione: << Amerai il Signore Dio tuo… con tutta la tua mente ». Con questa intuizione tratta dal Vangelo meglio non si poteva inquadrare la figura di Don Natale Bussi e la sua opera di maestro nel Seminario di Alba. Non che a Don Busi mancasse il cuore, ma figlio com’era di questa nostra terra che esige un duro lavoro per offrirci i suoi apprezzati frutti, lo nascondeva sotto la coltre della ragione e dei concetti “cartesiani” chiari e distinti pur se dotato di una sensibilità gioiosa nel donare cultura  sottoposta però  com’era al “sef control” del’uomo saggio e sicuro di se, oserei dire di stile stoico  incarnando quel detto: “anche se cascasse il mondo ne contemplerebbe senza emozione la rovinai!” (etsi totus illabitur orbis, impavidum ferient ruinae): Don Bussi ne conosceva le coordinate!.

 

 

 

 

*Un curioso episodio sul come aveva scoperto casualmente San Tommaso d’Aquino

“Per equilibrare una vecchia cattedra zoppicante qualcuno aveva messo sotto una gamba un libro. Un giorno l’ho raccolto rosicchiato dai topi ma ancora integro. Il titolo era “S.Thomae  Aquinatae Summa contra gentes, seu de veritatae Chatolicae Fidei”. Apertolo mi ha incuriosito il capitolo “quod sapientis est ordinare”, cioè l’ufficio del sapiente  è di mettere ordine nelle cose. Dalla scoperta di quel libro è nato il mio amore per San Tommaso: ne ero tamente preso che aprii una scuola su San Tommaso con un gruppo di Chierici amici

 

 *Siamo nell’anno 1941, mese di novembre: studiavamo filosofia di impronta “neo scolastica”sotto

la guida di Don Bussi ed ecco arrivare in cattedra il Prof. Chiodi de liceo  statale Govone, suo

amico, a spiegarci l’esistenzialismo di Heideggher del qual Chiodi stava traducendo le opere in

italiano con la consulenza di Don Bussi che ben conosceva il tedesco.

Naturalmente noi giovani, almeno io, alle prese con i primi rudimenti della filosofia non ne capii

niente, ma ci impressionò la presenza di un professore di altra estrazione sulla cattedra del

Seminario a spiegarci qualcosa lontano dalla “filosofia perennis”, l’unica ad avere cittadinanza nei

seminari e nel contempo l’amicizia tra i due insegnanti.: un saggio dell’apertura mentale di Don

Bussi, sicuro di sé pur essendo un autodiditatta senza un pezzo di Laurea.

 

*Anno 1942. 4 Febbraio: giunge notizia della condanna all’indice delle tesi teologiche di Padre Chenu, della scuola francese domenicana che annoverava esponenti come Congar, De Lubac, Garrigou Lagrange… L’accura era di “storicismo ” in uno studio  sulla storia della Chiesa in contrasto con la Teologia speculativa e le Scolastica di quel tempo, tesi condivise anche da Don Bussi. La nostra curiosità era quella di scoprire le reazione di Don Bussi ed i suoi commenti sull’accaduto.: dispiacere, disillusione e speranza che le cose buone abbiano bisogno di tempo per essere comprese. Vennero col Concilio Vaticano II e don Bussi  vi contribui per parte sua con lucidità di pensiero, studi intensi, copiosi scritti, vi participò come teologo del Vescovo Mons. Stoppa.

 

*Anno 1942, ottobre inoltrato, mentre infuria la guerra

E’ tempo di armi e di odio e con l’intervento dell’America Pearl Harbour nel conflitto  mondiale sta    iniziando la resa dei conti. Don Bussi sente la necessità di ricercare le radici nefaste della tragedia in corso risalendo alle culture che l’avevano preparata e prodotta. Di quì una serie di  conferenze sulla cultura moderna, le sue origini, le fratture che l’hanno prodotta, gli antidoti che  occorra recuperare a partire dalla ragione e dalla rivelazione cristiana per superarne i guasti.   Dava vita  ad una serie di conferenze sulla cultura moderna dal titolo “Principi di cultura cattolica”: a 35 anni metteva a nostra disposizione con l’autorevolezza di una sintesi personale un giudizio sulle  culture del tempo: era un corso libero ma che presto divenne affollato di studenti intenti come il sottoscritto a prendere appunti e poi trascrivere quelle preziose riflessioni ancora oggi custodite gelosamente. Per chi le gradisse, sono a disposizione alcune copie che riproducono in sintesi le lezioni di Don Bussi ai “Gruppi di studio di quegl’anni.

 

*Cultura filosofica: il suo insegnamento apriva al confronto con tutte le correnti filosofiche

dall’idealismo al materialismo al positivismo all’esistenzialismo…, con persone di altra ispirazione

portando ad esempio in Seminario a tenere conferenze il Prof. Chiodi, traduttore di Heideggher in

italiano. Promuoveva corsi memorabili di “cultura cattolica” ove si mettevano a fuoco i problemi

filosofici, scientifici, storici  letterari dell ‘800 e del ‘900.

 

*Cultura teologica: attraverso i “circoli di studio” responsabilizzava gli alunni provocando il confronto

sui grandi autori affidati prima in lettura a singoli perché relazionassero nel gruppo: si  trattava d

Sheeben, Guardini, Mersch, Congar, De Lubac, Maritain, ecc. ecc. Già nel 1938, XVI° dell’er

fascista, scriveva articoli su Gazzetta d’Aba circa il razzismo ed il nazionalismo imperante

rilevandone le nefaste radici filosofiche e storiche  (Rosemberg- Nietche). Gli capitò perfino nel

1944 di essere fermato in guardina per alcuni giorni, accusato di aver scritto e parlato negativamente

della Repubblica sociale fascista.

 

 

*11 Febbbraio 1966 Il Concilio Vaticano II, teminato l’ 8 dicembre 1965, trova Don

 Bussi, due  mesi dopo, l’11 febbraio 1966, già pronto a darne alla  stampa presso le

Edizioni Domenicane di Alba tutti i documenti corredati da un dettagliato indice

analitico dove le singole voci sono precedute da sintetiche introduzioni di straordinaria chiarezza

teologico-pastorale (Cfr.la voce  “Chiesa”).Il volume viene presentato dall’amico Arcivescovo di

Torino Card. Michele Pellegrino. Batteva così sul tempo ogni altra editrice e di quel commento

uscirono molte ed arricchite ristampe. Il Concilio Don Bussi l’aveva vissuto in anticipo

ed era quindi pronto a spiegarlo non appena è terminato: se questa non era profezia!

 

*19 Febbraio 1963: muore l’amico scrittore Beppe  Fenoglio che ho visto tante volte salire le scale ed entrare nello studio di Don Bussi come tanti altri bisognosi di incontrarsi e confrontarsi con Lui. Aveva scelto i funerali civili  creando  interrogativi e discussioni nel piccolo mondo della città. Una bella foto lo ricorda presente all’’inumazione  ed il suo discorso di addio era per una visione più alta della vicenda umana nel tempo e nell’eternità: Beppe aveva una modo diverso di pensare il Signore nella vita!. Così del suo conterraneo  Cesare Pavese sottolineava il “TU abbi pietà”

(Mestiere di vivere pag. 362) e di Kant, il severo giudizio di “idiota e lurido, se Dio non c’è tutto è lecito e tutto è permesso,solo la carità è rispettabile…Cristo e Dostojevski, tutto il resto sono balle”…(pag.82)

  *Conclusione: tutti noi suoi allievi ci siamo sentiti come don Pio Gaia “ammagliati stregati” da

una personalità così ricca di fascino e di cultura: certo, c’è sempre il pericolo di mitizzare le

persone ed il tempo che fu, ma non c’è mito senza fondamento ed in Don Bussi le fondamenta

erano solidissime, sia quelle della ragione che quello della fede.

 *A mo’ di battuta si citava sovente tra noi l’aforisma “in regno coecorum monoculus  rex”  alludendo

al fatto che Don Bussi per un incidente in gioventù aveva perso un occhio, ma  si concludeva che

pur con un occhio solo era certamente il re tra tutti noi dotati di due occhi ma  ben lontani da lui nel

vedere e sapere.

*Per finire: una bella “Professione di fede” di Don Bussi (ispirato a Cor.1-10):Dopo  aver illustrato

la centralità  di Cristo risorto…prosegue dicendo “E’ Lui che vive in  noi,l’unico Kyrios della nostra

vita. Noi che viviamo nel tempo che va dalla Pentecoste fino alla “parusia”, il tempo della Chiesa,

non abbiamo più nessun altro Signore ne in cielo ne in terra, ci liberiamo  da tutti i Signori : gli dei

della Grecia, o del  mondo germanico, i signori feudali, i signori capitalisti, i signori della cultura,

della filosofia: che sono mai di fronte al Signore?, al Kurios Gesù?” (Da “Il senso dell’uomo Dio)

(Don Cesare Battaglino 20 gennaio 2018)

*NB 1*Il 5 di aprile 1948 il Vescovo Grassi muore e l’ 8 aprile ebbe sepoltura in un Duomo che la cronaca di

quel tempo dice “non potè contenere la gente venuta a salutare il suo Vescovo”.

*Un vivo rammarico allora da parte di tutti noi che il Vescovo Grassi non abbia potuto vedere e godere l’avvio dell’Italia sulla strada della democrazia susseguente alle determinanti votazioni del 18 aprile di quell’anno; proprio Lui che aveva guidato con equilibrio e determinazione la Diocesi in quei tragici anni 1944 e 1945 come autentico “defendor civitatis” in tante circostanze supplendo e sostituendosi ad una società civile lacerata e disgregata e pagando di persona fino a mettere in gioco la sua stessa vita.

*Un ricordo personale: eravamo in dieci Diaconi della nostra  classe  in attesa di essere ordinati Sacerdoti in  quell’anno 1948. Venne il Vescovo di Fossano Mons. Borra  per l’ordinazione il 2 gennaio 1949:  La prima omelia me l’ha inposta il Vicerettore don Bussi incaricandomi di illustrare la figura di San Franceso di Sales Patrono del Seminario Maggiore il 24 gennaio al termine dei Vespri solenni celebrati nell’aula di Teologi invece che nella Cappella dove mancava il riscaldamento: che emozione!.

*Penso che la preoccupazione più grande dei Superiori sia stata in quel momento di trovare in diocesi un lavoro pastorale per noi e per quelli dell’anno prima che erano stati 12  e dell’anno antecedente 16. Che tempi! Torneranno?: iniziò da quel momento la “Diocesi senza frontiere” in Africa, in Brasile ed altrove…

*NB 2.Ho letto con piacere e con positiva sorpresa la tesi “La Vergine Maria nel pensiero di Mons

       Natale Bussi” dell’amico Don Paolo Rocca per il conseguimento della Licenza in Teologia con

       in specializzazione in Mariologia presso la Pontificia facoltà Marianum di Roma, Anno

        Accademico 2016-1017. Il volume di 332 pagine, oltre al tema in questione, offre un ampia documentazion

        e  sul contesto storic, teologico ed ecclesiale europeo, italiano e diocesano che ha preceduto e seguito  il

        Concilio Vaticano II dal  quale emerge la figura di Mons. Natale Bussi a sua volta filosofo e teologo in quel

       tempo. Merita un attenta lettura.

  *NB3:Allegato “Lezioni sulla cultura cattolica in sintesi.

NATALE BUSSI:SINTESI DELLE LEZIONI SULLA CULTURA CATTOLICA

(Seminario Maggiore – Anni Scolastici 1941-42; 1942-1943)

N:B: le lezioni sulla cultura qui riassunte in estrema sintesi erano corredate da citazioni di autori, di libri che in quel tempo facevano tendenza e dall’incitamento a leggere utilizzando i criteri di discernimento offerti da una visione cristiana della persona umana ancorata ai grandi valori proposti da Cristo, l’ “uomo nuovo”!.Al termine di ogni lettura l’invito di Don Bussi  a “riassumere e giudicare” secondo i principi esposti sulla cultura cattolica. Lo stesso Don Bussi dette saggio di queste applicazioni culturali mettendo a confronto le correnti filosofiche, letterarie, artistiche e storiche del tempo in corsi di lezioni appoggiati ad una ricca biblioteca a disposizione degli studenti ed organizzando “gruppi di studio” affidandone, lui presente, la  direzione a turno a qualcuno dei partecipanti. Al sottoscritto toccò  il volume “Les degrès du savoir” di Maritain, 400 pagine ed in francese, ad altri altri temi! Sia benedetta la sua memoria!. (Sintesi  elaborata sugli appunti di quegl’anni da Don Cesare B. il 24 gennaio 2001)

      Cap. 1 Che cosa è cultura?

La parola cultura deriva dal verbo colere e si applica in senso proprio alla coltivazione dei campi…in senso traslato nel campo della mente: si dice persona colta quella che è in grado di  produrre molti frutti intellettuali. Cultura si differenzia essenzialmente da ciò che è erudizione perché l’erudito ha in se molti e disparati elementi del sapere non però organizzati e vitalizzati nella mente.Si può definire  quindi cultura la capacità mentale di unificare il sapere secondo dei principi altrimenti la mente si riduce ad un bazar ambulante  di nozioni giustaposte.Questo secondo aspetto è proprio dellauomo moderno che, senza principi, si lascia trascinare nel mare fluttuante del sapere…

Come si arriva alla cultura? La cultura nasce dallo sviluppo della mente … e per questo serve soprattutto l’uso del libro e tra i libri soprattutto quelli che trattano di letteratura, di filosofia e di teologia, meno quelli di scienza e di tecnica anche se gli americani ed oggi pure in Europa prevale la scienza e la tecnica: avremo dinuovo un’epoca di barbarie ed in parte ci siamo già cascati.

Cultura cattolica Vale di più l’aggettivo che il sostantivo perché cattolica vuol dire universale, perché si pone dall’alto, abbraccia tutto ciò che è bello e buono, non è unilaterale ed ha la capacità di assorbire tutto ciò che di bello e buono hanno le altre culture, quella greca ad es. e quella orientale…“Cosi che l’uomo cattolico colto è superiore a tutti gli altri perché ha in sé la capacità di accogliere le altre culture nelle sue ampie vedute: Dio si rivela in Cristo vivente nella Chiesa, tre pilastri della cultura cattolica” (Cfr. E. Gilson: Per un ordine cattolico)

Capitolo 2: Rottura della cultura cattolica Fino al 1400 lo spirito europeo era cattolicamente ispirato: ad es. Dante, S.Tommaso, S. Bonaventura …Subentra una cultura laica che distacca la Religione dalla vita sociale, una cultura senza il “sacro”  che non tiene più conto di Dio, di Gesù Cristo, della Chiesa, che, come dice Giuliotti, vuol “raschiare” Dio da tutti gli aspetti della vita fondando la cultura sull’uomo , un umanesimo senza Dio. La storia in questo caso diventa una parziale lettura dei fatti che prescinde da Gesù Cristo. L’esponente principe di questa cultura  è Benedetto Croce, conosciuto in tutta Europa

Come è nato in Europa il laicismo La Riforma protestante porta con sé la prima rottura perché dei tre pilastri rifiuta il terzo, la Chiesa: il protestante si può raffigurare come una persona che non va più a Messa, non fa la comunione e non si confessa più perdendo poco alla volta  il contatto con le fonti vive che sono Gesù Cristo e Dio e si concentra in se stesso… E’ il primo grande passo verso la sconsacrazione della vita e della cultura… I Laicisti oggi nelle loro opere esaltano la Riforma ed  questo il segnale della loro cultura non cattolica: nelle esigenze esistenziali l’uomo è inserito in Cristo e se si distacca da lui scende dal gradino su cui è stato posto.

L’Illuminismo: l’Umanesimo di cui è intriso spinge a non aver più bisogno della rivelazione e di Cristo come fonte di grazia. E’ il secondo grande passo della sconsacrazione della cultura europea, l’ emarginazione della figura di Cristo, visto come un grande uomo e nulla più o come un impostore che se ha detto qualcosa di buon l’ha raccolto da altri. L’Illuminismo  più ancora del Protestantesimo ha contribuito alla rottura dellaequilibrio della cultura europea e gli esponenti principali sono stati Loke, Hume, gli Inciclopedisti,  principalmente Voltaire che però diceva che “se Dio non ci fosse bisognerebbe inventarlo”

Il Panteismo immanentista Dopo di lui un passo avanti ancora: un orizzonte umano immanente che può fare a meno di Dio, perché non c’è valore che superi l’uomo e quindi di Dio non è più il caso di parlarne. La terrestrità e la mondanità sono caratteristiche che servono a giudicare dal punto di vista cattolico queste  filosofie e gli scrittori che le propongono. La religione dellauomo contro la religione di Dio quindi negazione e distacco da Dio. Di qui una cultura unilaterale, parziale, dove ognuno di queste parti vuol assurgere a verità eterna: tante culture quanti sono gli idoli che si innalzano ogni giorno. E’ una evoluzione che partendo da Kant è arrivata a Nietzche: si completa così la rottura della cultura cattolica in Europa.

      Cap. 3: Caratteristiche della cultura moderna 

       Ma allora che cosa è l’uomo, chi è?

       *L’uomo è un animale, così risponde la cultura positivista e materialista (Spencer…). Quelli che noi chiamiamo valori umani sono valori animali, come una tavola bene imbandita  di fronte ai valori intellettuali che vanno considerati come epifenomeni: l’unica morale possibile  è l’edonismo individualista.

*L’uomo è sola intelligenza, pura ragione (Hegel, Gentile…): è la risposta dellaidealismo che ha molto di nobile in sé; l’unico vero valore è la ragione capace di fare sintesi mentre gli altri valori quali l’arte, la religione sono gradini inferiori di conoscenza. E’ il filosofo che con i suoi responsi tipici dell’uomo di intelligenza deve guidare l’umanità. (Hegel)

 *L’Uomo è nazione (Fichte ed i“ discorsi alla nazione tedesca”),   Una proposta che ha preso spazio nel secolo scorso: l’uomo come nazione dove il singolo non conta nulla ma è il popolo portatore di  valori esaltanti e tutto va indirizzato alla grandezza ed esaltazione della nazione di appartenenza. Al centro la Germania “uber alles”. Il Cattolicesimo universalistico è estraneo alla cultura tedesca, è nato sulla radice dellaebraismo che va espulso , e se cristianesimo ha da esser deve essere cristianesimo nordico. Nel nazionalismo inteso come  cultura non esiste una morale eteronoma ma tutto si misura come bene o male in ordine alla nazione. Di qui un totalitarismo che sta creando lo scontro in atto.

 *L’uomo è razza. Chamberlain è stato il primo ad escogitare questa teoria nell’ambito della cultura nazionale: gli uomini come animali costituiscono una specie che si distingue in varie razze; in cima alla scala la razza ariana. Dopo di lui Rosemberg ideologo del nazismo: sopra tutte quella nordica  chiamata a dominare le razze inferiori. La soppressione della razza polacca o di quella slava… se esigito dal dominio della razza ariana può essere  proclamato atto buono e meritorio: assurdi cui si può giungere quando una verità è impazzita!.

       *L’uomo è pura economia: visione destinata a spadroneggiare nel prossimo futuro. Il marxismo è il più formidabile nemico del cristiianesimo. Il possesso dei beni ed il loro godimento sono il fine supremo.Tutta la storia deve essere letta in questa luce classista così come lo stesso cristianesimo. Nella sua evoluzione storica ha fallito nel riscatto degli ultimi.

*L’uomo è volontà, pura tendenza di istinto cieco, azione pura, un dinamismo senza rotaie, senza sapere di dove si viene e dove si va…un atteggiamento irrazionale penetrato ovunque, non accetta regole perché il forte è destinato a vincere il debole ed è giusto così perché solo così emergerà l’uomo superiore: una specie di darwinismo applicato all’evoluzione umana da Nietzche

Commento:

*Le tendenze descritte hanno il punto debole nella unilateralità, nella parzialità,  nell’affermare  oltre     . limiti una verità negando tutte le altre. limiti una verità negando tutte le altre.

*Le culture moderne contengono delle verità, dei frammenti, ma ignorano la verità integrale Il      cristiano sapiente accetta queste briciole di verità, non assume un atteggiamento risolutamente negativo ma riconosce quello che di buono e vero c’è nel moderno.

*Le culture moderne vivono di quelle verità che combattono e muoiono per causa di quelle che affermano (Es. l’esaltazione della libertà in Croce…, della razza nel nazismo…)

*Le culture moderne sono caratterizzate dall’estremismo…per questo la Chiesa viene accusata di tutto e del contrario di tutto perché rivendica la persona contro lo stato…la socialità contro la volontà di potenza ce…)

Conclusione: la cultura moderna ha alla base l’immanentismo e l’unilateralità; la cultura cattolica offre la trascendenza e l’universalità.

  1. Caratteristiche della Cultura cattolica

Personalismo S. Tommaso : la persoma umana è “Id quod perfectissimun est in tota natura”: definizione che ha un enorme valore culturale perché pone al centro la persona umana.

Perciò con Paolo diciamo “omnia vestra sunt, vos autem Cristi, Cristus autem Dei” (1Cor 3,22ss). S.Boezio: la Persona è  “Individua natura rationalis substantia”

In quanto individuo l’uomo ha in comune qualcosa con il sasso della strada, con la pianta, con l’animale…è un frammento della natura…In quanto ragionevole vive nel mondo d ello spirito, sta sopra tutte le cose ed è persona..

Maritain: “Il nome di persona è riservato alle sostanze che posseggono questa cosa divina, lo spirito e per questo appartengono, loro sole, ad un mondo spirituale e morale superiore che a parlare propriamente non è una parte dellauniverso”

Ciò che fa la dignità della persona umana è la sussistenza dellaanima spirituale ed è questo che distingue ed eleva l’uomo sopra tutte le altre creature. Su queste affermazioni si misura la cultura cattolica rispetto a tutte le altre culture.

Cristocentrismo: nella condizione esistenziale l’uomo non è solo un individuo di natura ragionevole ma è pure inserito in Cristo, ferito dal peccato ma ferito pure dall’amore di Dio, trascinato dal basso all’alto mediante l’Incarnazione, assunzione della natura umana nella divina persona di Cristo.

Non quindi un Dio che si è abbassato ma la persona umana che è stata innalzata. In Cristo gli estremi si congiungono ed è Lui che deve stare al centro della storia e quindi della cultura perché solo in Lui tutto si illumina e si spiega: tutta l’umanità si sente ricapitolata in Cristo: “vos autem Cristi!”.

La cultura cattolica deve essere una cristologia: tutti i libri ed i i romanzi dovrebbero fondarsi sul tema “peccato e redenzione” come in parte Dostojevskj e soprattutto Manzoni e Dante.

Non c’è umanesimo integrale senza cristianesimo perché solo nell’ordine della grazia l’uomo è completo come persona: e questa è teologia.

Pensare all’uomo senza fare teologia è costruire la casa senza le fondamenta. Grande è stato l’errore da parte della cultura moderna di abolire la teologia come cattedra nelle Università.

      Teismo creazionista: Un Dio trascendente e creatore

Un Dio che è l’ “ipsum esse subsistens”, perché le creature sono da Lui create e da Lui hanno l’essere ed il valore: se non si ammette questo o si nega la persona umana per affermare Dio (Spinoza) o si nega Dio per affermare la persona umana.(Hegel).

      Le creature sono essere ma in dipendenza da Dio.

Dicono gli scolastici che nelle creature c’è distinzione tra essenza ed esistenza, non sono la pienezza dellaessere ma tendenza verso l’essere come dice Blondel e sentono questa incompiutezza nella condizione esistenziale.  Portiamo dentro di noi il dramma tra quello che siamo e quello che vorremmo essere: ad esempio lo sforzo immenso per raggiungere la verità…

Conclusione: la cultura cattolica è ancorata ad un Dio personale e trascendente al quale la persona umana accede mediante Gesù Cristo (“Vita vestra abscondita est cum Cristo in Deo”(Col 3,3)

  1. Antinomie culturali

Qualsiasi cultura per dirsi tale è chiamata a dare risposta a queste antinomie che si propongono come antitetiche ma che vanno composte in una sintesi superiore.

 Dio e mondo

Non si può esaltare Dio e negare il mondo e l’uomo come tende a fare l’Islam o viceversa esaltare l’uomo e negare Dio come molta cultura  moderna… La cultura cattolica è ancorata ai due valori ed afferma Dio ed il  mondo. (Vedi anche Monismo-Pluralismo, Assoluto –Relativo)

 Natura e Sopranatura

 –Un naturalismo che chiamiamo pelagiano. La troviamo già all’inizio del cristianesimo, Cristo un esempio da imitare Due   non                

filosofici ma teologici: per natura intendiamo l’uomo con le sue dotazioni di intelligenza, volontà…e le sue attività, per sopranatura il dinamismo che non nasce dall’uomo ma è posto da Dio nell’uomo con il dono della grazia: due realtà che devono coesistere. , ma l’uomo salva se stesso senza la grazia: di qui la negazione del peccato originale, l’affermazione della bontà originaria dellauomo (Rousseau), della sua autosufficienza. E’ stato detto: “non vuole accettare l’Uomo della Grotta ed è finito nella caverna”.

-Un soprannaturalismo che annulla l’uomo.

Il peccato originale ha distrutto la natura umana e tutte le sue possibilità: solo la Grazia può salvare…Troviamo spunti in tal senso in S. Agostino, ma soprattutto nel luteranesimo, nel calvinismo, nel giansenismo, traccie nel fideismo e nel barthismo.

-La Cultura cattolica spinge all’armonia tra natura e grazia

La Grazia non nega la natura umana: “non destruit sed perficit naturam”, ma dice anche che non c’è natura perfetta senza la grazia.. Non ci sarà mai una filosofia completa senza il cristianesimo perché l’uomo è decaduto e solo nell’ordine della grazia può essere salvato. Il materialismo che proviene soprattutto dall’America riduce l’uomo ad animale e la famiglia ad un accoppiamento animale e ad un problema di allevamento…Altri aspetti di questa antinomia:

-Religione- Fede: ad un razionalismo esasperato si contrappone per reazione un fideismo acritico.Stato – Chiesa: la Chiesa pretende che sia riconosciuta la sua presenza di educazione alla fede, lo Stato che pretende di educare a valori e principi antitetici a quelli cristiani…

-Intelletto e volontà

Intellettualismo come primato assoluto dell’intelligenza, della ragione come unico valore perché perfetto è solo l’uomo sapiente. Socrate: la virtù è sapere; Hegel e tutti gli hegheliani che esaltano lo spirito creatore Il volontarismo per contro esalta il primato, della volontà, dell’agire (es. in un certo senso l’agostinismo, il francescanesimo…nell’ambito cristiano), ma soprattutto lo troviamo nella cultura del romanticismo. Il secolo in corso sarà timbrato come secolo della vita istintiva, cieca, dell’azione, della volontà di potenza (Nietzche …). La visione cattolica offre motivi di composizione senza negazione dei due termini dellaantinomia: la ragione guida la volontà e a sua volta la volontà realizza i valori proposti dalla ragione.

 -Ottimismo e pessimismo L’ottimismo culturalmente è sotto l’ala dell’intelletualismo mentre il pessimismo si aggancia al volontarismo. L’illuminismo nel 700 e l’idealismo nell’800, “le sorti felici e progressive” promesse dalla scienza connotano questo visione. Il pessimismo cerca risposte al male, al dolore esistenziale e si aggancia al dramma irrisolto nel cercare risposte ai perché nascere, soffrire e morire. Ma già Kierkegaard diceva che queste filosofie non spiegano perché l’uomo sale su di una scala, cade e si fa male. . Non se ne esce con Schopenauer, Heidegger… con l’esistenzialismo in tutte le sue forme tragiche che si chiudono nel pessimismi drammatico. …Se ne esce con le forme ispirate da Pascal, Kierkegaard, Dostojevschi: il cristianesimo invita ad alzare lo sguardo a Cristo che ha vissuto in se stesso il dramma del male e del peccato ed offre le sue risposte come sluzione.

       -Obiettivismo e Soggettivismo  Trattiamo di questa dualità solo nel campo umano perché in Dio c’è unità assoluta.  Prima la  materia, l’oggetto, il mondo che poi è diventato cosciente nell’uomo, quindi c’è un assoluta dipendenza dell’uomo dalla natura (Bacone, Locke…). Lo spirito umano conoscendo crea: di qui il soggettivismo che con gli idealisti post-Kantiani arriva allo stadio di purezza assoluta, tutto diventa prodotto dell’uomo. Di qui nasce il soggettivismo morale  come regola di vita.La cultura cattolica propone la sintesi dei contrari e propone nell’unione di soggetto e di oggetto  il dinamismo della vita umana che abbisogna di verità oggettiva ma pure di tener conto della percezione che ne ha il soggetto.

-Individuo e Comunità

La guerra che si sta combattendo non si capisce senza questa antinomia mentre invece viene presentata  come lotta tra Stati  totalitari e democratici. Si dice individuo e lo si pensa come forza biologica, sensitiva ed istintiva. Si parla poi di libertà come sottrazione da ogni norma e legge, Nell’ordine sociale il liberalismo frutto dellaIluminismo ha fatto del singolo la misura di ogni cosa. In opposto  nasce la cultura del gruppo sociale dove scompare il singolo, della comunità legata all’autorità. Il singolo viene annullato e sarà un valore nella misura del gruppo sociale nel quale si annida: di qui i Fascismi sorti in Europa ed il Comunismo collettivista. La cultura cattolica fa sintesi  tra queste due posizioni in lotta e le compone in una visione personalistica agganciata al pensiero cristiano.

-Nazionalismo ed Internazionalismo La nazione, affermata come supremo valore e divinizzata, è un amore ammalato della patria: Germania, Italia, Panslavismo per l’oriente europeo…Chi stà rovinando l’Europa sono questi nazionalismi fino a ché non troveranno  una composizione in una visione superiore.L’internazionalismo propone l’annullamento delle nazioni e la creazione di cittadini del mondo e si manifesta in tre abbozzi di esperimenti:-Internazionalismo massonnico: l’uomo nuovo deve essere senza patria, senza famiglia, apolide.-Internazionalismo comunista che affratella gli operai nella grande rivolta di Marx.-Internazionalismo della Chiesa che di natura sua non è nazionale e nella quale sono tutti fratelli: tutto questo però non distrugge ne la famiglia e neppure la patria ma opera una sintesi a livello superiore.

-Progressismo e tradizionalismo Sono tendenze insite in tutte le culture, correnti di pensiero che si esercitano in tutti i campi nel delineare il vecchio e le situazioni statiche ed offrendo proposte nuove per superarle: in tutti i campi, dall’economico al filosofico, al letterario al religioso. La cultura cristiana è in grado di fare sintesi rispettosa degli opposti estremismi offrendo principi di equilibrio ancorati ad una visione religiosa della persona umana.