
Insegnanti di religione ad Altavilla durante un incontro di formazione.
In tutte le grandi religioni, la porta non è solo un elemento architettonico, ma una soglia simbolica: indica un passaggio, un varcare il confine tra due realtà. È il segno di un cambiamento: da una condizione di vita ad un’altra, dalla non conoscenza alla sapienza, dall’esteriorità all’interiorità, dall’umano al divino.
Nell’Islam, è spesso associata alla misericordia di Dio. La porta del santuario della Ka‘ba, a La Mecca, viene aperta solo in occasioni particolari, indicando un tempo speciale di grazia e purificazione.
Nell’Induismo, le porte monumentali dei grandi templi, chiamate Gopuram, segnano l’accesso al sacro. Attraversarle significa intraprendere un itinerario di purificazione, lasciando fuori ciò che è mondano per entrare in una dimensione spirituale più profonda.
Anche nel Buddhismo, la porta è un simbolo importante: rappresenta il cammino dall’illusione alla saggezza, dalla sofferenza alla pace del Nirvana.
Nell’Ebraismo, la porta ha un valore sia cultuale che quotidiano. Sugli stipiti delle case viene posta la Mezuzah, un piccolo contenitore con versetti della Torah, segno visibile della presenza di Dio e della fedeltà all’alleanza. Nell’antico Israele, inoltre, i pellegrinaggi culminavano con l’attraversamento delle porte di Gerusalemme, che introducevano i credenti nel cuore della città santa.
Se in tutte queste tradizioni la porta è un simbolo di passaggio e di accesso al sacro, nel Cristianesimo essa assume una caratteristica unica e straordinaria: la porta non è solo un segno, ma una Persona. Ha un volto e un nome: quello di Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù stesso dichiara: «Io sono la porta»; mentre nell’Apocalisse leggiamo: «Ecco, io sto alla porta e busso». Queste immagini rivelano due dimensioni complementari del percorso di fede.
Da una parte, la porta è quella del nostro cuore (Ap 3,20), del nostro mondo interiore. Resta chiusa quando siamo ripiegati su noi stessi, quando rimaniamo imprigionati nel nostro dolore, quando perdiamo il gusto della vita. Ma è sufficiente un pizzico di fede/fiducia perché questa porta possa tornare ad aprirsi: basta un piccolo spiraglio perché l’Altro possa entrare, perché un raggio di luce attraversi la “stanza” e la trasformi.
È una porta con una sola maniglia: si apre esclusivamente dall’interno. Nessuno può forzarne la serratura… nemmeno Dio. Perché la coscienza, dice il Concilio Vaticano II, è come un “sacrario” (GS 16), è il luogo inviolabile della nostra dignità, della nostra libertà più profonda.
Dall’altra parte, la porta è Gesù stesso (Gv 10,9). È attraverso l’incontro con Lui che si compie il passaggio dalla morte alla vita, dalla chiusura alla speranza. È nella relazione con il Risorto che possiamo sperimentare fin d’ora la resurrezione, dentro il buio del non-senso, della frenesia delle nostre giornate, delle ferite e dei fallimenti.
Ed è proprio per esprimere il desiderio di questo passaggio che varchiamo la Porta Santa nell’anno giubilare: un gesto fisico, ma dal profondo significato interiore. Ogni Giubileo è un invito a rientrare in noi stessi, a lasciare entrare Cristo, a riscoprire il gusto di una vita nuova. Attraversare la Porta Santa non è solo un rito, ma un’esperienza di grazia: è la decisione di lasciare alle spalle ciò che ci chiude alla vita per aprirci a una trasformazione, alla possibilità di una rinascita o, quantomeno, di una ripartenza.
Il 29 marzo, ad Alba, gli insegnanti della Diocesi attraverseranno la Porta della cattedrale al termine di un breve pellegrinaggio. La giornata inizierà alle 8.45, presso il Seminario, con un momento di preghiera e la relazione del professor Battista Galvagno, dal titolo: “La speranza in san Paolo”. Successivamente, i partecipanti si metteranno in cammino verso il Duomo, dove ci sarà una celebrazione presieduta da S.E. Mons. Brunetti.
La giornata si concluderà intorno alle 12.30. L’invito è rivolto a tutti i docenti, di ogni ordine di scuola. Il Giubileo diocesano degli inseganti sarà anche un’opportunità d’incontro e di condivisione, in pieno spirito di comunità, ricordando le parole di Papa Francesco: «Per capire come si ama, quali sono i valori e quali le abitudini che creano armonia nella società, ci vuole un buon insegnate».
Noemi Beccaria