In vista del convegno di sabato 18 a Torino, intervista a monsignor Marco Brunetti delegato dei vescovi piemontesi per la pastorale della salute.
«Evoluzione e futuro dell’assistenza spirituale e della Pastorale della salute tra presidi sanitari e territorio». È il tema al centro del convegno che la Consulta di Pastorale della Salute della Conferenza episcopale piemontese organizza sabato 18 ottobre dalle 8.45 alle 16.30 al Centro Congressi Santo Volto a Torino. Abbiamo chiesto a monsignor Marco Brunetti, vescovo di Alba e delegato per la Pastorale della Salute della Cep, di ragionare sul valore dell’assistenza spirituale per le persone che vivono il tempo della malattia e della sofferenza sia nelle realtà ospedaliere, che nelle case di cura che nelle proprie abitazioni.
Monsignor Brunetti, chi è oggi l’assistente spirituale?
«L’assistente spirituale oggi, a differenza del passato, non va identificato esclusivamente con una persona appartenente al clero; deve però avere competenze specifiche per il delicato servizio che è chiamato a svolgere. Oltre all’aspetto sacramentale, è colui che si mette in ascolto della persona che vive il tempo della malattia attraverso forme empatiche di vicinanza. L’assistenza spirituale è un ministero di consolazione che va organizzato attraverso un lavoro di equipe su uno specifico e ampio territorio dove sono presenti ospedali, presidi sanitari, Rsa, case di cura …; il cappellano, infatti, non può operare da solo. Parliamo poi di assistente spirituale, e non solo di assistente religioso, in quanto la domanda di ascolto e di
accompagnamento spirituale riguarda tutte le persone, al di là della propria professione religiosa. Sono, quindi, fondamentali percorsi formativi che abilitino a questo ministero che rappresenta un diritto inalienabile che va garantito per tutti».
Qual è il messaggio che intende lanciare il convegno regionale sull’assistenza spirituale?
«In primo luogo i lavori della giornata intendono ribadire il profondo e intrinseco valore della vita umana, in particolare quando è più fragile e vulnerabile: pensiamo per esempio al mondo degli anziani, soprattutto a coloro che vivono nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Il convegno punta poi a valorizzare la dimensione dell’assistenza spirituale: il sostegno della preghiera e dei sacramenti, insieme all’ascolto e all’empatia, possono infatti essere strumenti che acquistano anche una valenza terapeutica importante. È necessario poi sviluppare le sinergie tra gli operatori sanitari, che vanno valorizzati, e gli assistenti spirituali, favorendo una rete di relazioni nelle strutture ospedaliere e sanitarie. Non dimentichiamo che l’assistenza spirituale non è rivolta esclusivamente ai pazienti e agli ospiti delle strutture, ma anche a coloro che ci lavorano e si prendono cura delle persone anziane e malate: tutti devono convergere e collaborare allo stesso scopo che è il bene della persona. Vogliamo, infine, innestare la Pastorale della Salute nei territori come strumento di consolazione e disperanza, in particolare attraverso le cappellanie territoriali e non solo quelle ospedaliere».
Che cosa si intende per «cappellanie territoriali»?
«Le cappellanie territoriali sono un’evoluzione di quelle ospedaliere: comprendono, infatti, un’équipe di persone qualificate (composta da sacerdoti, diaconi permanenti, religiose, religiosi e laici) che, insieme, si occupano di portare ascolto e consolazione alle persone residenti in un determinato territorio, sia al proprio domicilio che nelle strutture in cui vivono; questo fa sì che, grazie ad una rete e ad un lavoro di squadra, nessuno sia abbandonato e dimenticato. Come già evidenziato, l’assistenza spirituale riguarda tutte le persone, anche chi vive a casa propria e non può recarsi in parrocchia o in chiesa. Le cappellanie territoriali intendono, dunque, offrire questa risposta e, in particolare, una presenza e un accompagnamento della Chiesa».
C’è poi la situazione dei sostegni alle Rsa…
«Continua ad esserci un problema di risorse che va affrontato. Le rette in tanti casi non possono essere sostenute dalle famiglie. La Regione assicura stanziamenti e attenzione al tema, ma poi le Asl non convenzionano i posti che dovrebbero per legge. Si genera, quindi, un sistema che certamente mette in crisi strutture già messe a dura prova durante gli anni della pandemia. Penso in particolare alle numerose Rsa, espressione di paesi, di campagna e montagna, alcune anche legate alle parrocchie».
Stefano di Lullo, Agd