Omelia in occasione della S. Messa esequiale per Mons. Romano Penna

22-01-2025

Carissimi fedeli, presbiteri, diaconi, amici e parenti,

introduciamoci a questo rito di congedo che ha il suo apice nella celebrazione eucaristica con le parole dell’apostolo Paolo: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” che bene rappresentano la vita del carissimo don Romano, un vero maestro per tutti noi.

Mons. Romano Penna è nato a Castiglione Tinella (CN) il 6 marzo 1937 e dopo aver completato gli studi nel Seminario di Alba fu ordinato presbitero il 9 ottobre 1960 da Mons. Carlo Stoppa.

Ha proseguito gli studi a Roma ottenendo la Licenza in teologia alla Pont. Università gregoriana nel 1962 e il Dottorato in Scienze Bibliche al Pont. Istituto Biblico nel 1974,

Trascorse il suo ministero e la sua vita insegnando in diverse facoltà in Italia e pubblicando molti testi scientifici e divulgativi.

Nello scorso autunno dopo una conferenza per i “lunedì di San Paolo” ad Alba ha avuto un brusco cedimento della salute che lo ha portato a doversi ricoverare presso l’Ospedale di Verduno dove ha raggiunto il suo Signore per la vita eterna sabato 18 gennaio 2025.

Non siamo qui per tessere le lodi di don Romano Penna, anche se avremmo tante ragioni per farlo, ma per lasciarci guidare ancora una volta da lui all’incontro con Cristo. “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo”. Queste parole di Paolo ai Corinzi (1 Cor 11,1) starebbero benissimo sulle labbra di don Penna. Lui non si è mai permesso di applicarle a sé, ma noi osiamo farlo, per il debito di riconoscenza che abbiamo verso di lui, considerando i tesori di sapienza che ci ha lasciato.

Don Penna è stato un grande maestro perché prima è stato un ottimo discepolo. Ha scelto come guida San Paolo. Con lui ha percorso un cammino che l’ha condotto al cuore del vangelo: all’incontro con il Cristo morto e risorto, per poi camminare verso il Gesù storico, fino all’approdo finale: l’incontro con Dio.

Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che fu risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15,3-5). Il cammino di vita di Paolo è la fotografia anche di quello di don Penna. Questa è la fede in cui è cresciuto, ma soprattutto questo ha studiato per tutta la vita, a livelli di profondità impensabili per noi; questo ha divulgato nelle sue lezioni, nei tanti suoi scritti e nelle innumerevoli conferenze. Fedele all’insegnamento di don Bussi, alla cui scuola si era formato in seminario, sapeva che un maestro ti deve portare al cuore del messaggio o, nel linguaggio di don Bussi, alla “res”.

Il cuore del messaggio di San Paolo e di don Penna lo abbiamo ascoltato nella prima lettura. Lo riascoltiamo nella sua traduzione: “Ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenze di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui”. Come Paolo di Tarso, anche don Penna è stato “afferrato da Gesù Cristo”, al punto di poter affermare: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 3,16), perché il vangelo ha come scopo finale quello di “formare Cristo in voi” (Gal 4,19). Don Penna amava questo testo, da lui definito come uno dei “vertici più alti non solo dell’epistolario paolino, ma di tutto il Nuovo Testamento. Forse nessun altro testo dice in termini tanto originali, espliciti e pertinenti quanto la figura personale di Gesù Cristo costituisca davvero il punto focale dell’esperienza cristiana, il suo autentico e irrinunciabile epicentro”.

Qui sta, per ognuno di noi la salvezza: non nel nostro agire morale, non nel rispetto della legge, ma nella fede, nell’accettazione per fede di essere salvati dalla morte-risurrezione di Gesù.

Don Penna, grandissimo studioso del N.T. e delle antichità cristiane ed efficacissimo divulgatore aveva un culto della storia e in esegesi seguiva il metodo storico-critico. La sua “parresia” aveva accenti apparentemente razionalisti, ma era facciata. Come Paolo, aveva un animo mistico: sapeva che il luogo privilegiato e prioritario dell’incontro con Dio non è la mente, ma il cuore.

Dietro il suo studio appassionato c’era anche, come in Paolo, uno spirito autenticamente missionario: l’ansia di comunicare non una astratta verità, ma una esperienza di fede, ancora di stampo paolino: “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21). Chi è stato “afferrato da Cristo” e ha interiorizzato il suo messaggio di salvezza non può tenere per sé tutto questo, ma deve ripensarlo, usando la sua intelligenza e diffonderlo, in spirito missionario. Perché si può essere missionari anche da una cattedra universitaria.

Come annunciare oggi il vangelo? Il testo che abbiamo scelto per questa celebrazione ci offre un altro squarcio dell’animo e dello stile di don Penna: indicazioni preziosissime nel momento storico che stiamo vivendo, segnato dalla fine della cristianità, ossia del cristianesimo di massa. Don Penna aveva ben presente il quadro sociologico, ma preferiva andare oltre questa indagine, per cercare una via di uscita, ben sintetizzata nelle parole di Gesù, pronunciate, secondo Matteo, sulle pendici della montagna. Don Romano amava la montagna: lui abituato a sedere sulle prestigiose cattedre universitarie, si trovava a meraviglia sulle dolci pendici della montagna di Sampeyre, dove per oltre dieci anni ha tenuto il suo corso estivo. Ha seguito le tre indicazioni del discorso della montagna:

  • Il Vangelo di Gesù non è l’unica voce e non spegne le altre voci: è una forza nonviolenta, che si adatta a convivere con altre espressioni culturali. Chi annuncia oggi il vangelo si trova nella condizione di Gesù: una voce minoritaria in un contesto distratto, indifferente.
  • Il Vangelo di Gesù è sale: l’importante è che non perda sapore. Un modo di conservare sapore al sale evangelico è lo studio. Senza uno studio approfondito non ci può essere una presentazione efficace. Il messaggio evangelico, semplicemente proclamato e non ripensato perde sapore e rischia di “essere gettato via e calpestato dalla gente”.
  • Il Vangelo di Gesù è luce che non deve stare sotto il moggio, ma sul candelabro per fare luce a tutti quelli che sono nella casa. Don Penna ha saputo tenere viva la fiamma del vangelo nel mondo di oggi. Ha saputo portarlo nelle aule universitarie pontificie, ma anche in ambienti laici, in trasmissioni televisive, accettando il confronto con rappresentanti della cultura contemporanea. Ma soprattutto ha fatto risplendere questa luce nei suoi innumerevoli libri: sono l’eredità più preziosa che ci ha lasciato: una eredità che non deve andare dispersa, perché, se ripensata e assimilata, può continuare a fare luce sul nostro mondo.

Le cose che don Penna ci suggerisce sarebbero ancora tantissime, ma ci saranno altre occasioni. Chiudiamo con un saluto consolante, tratto ancora da San Paolo, dalla Lettera ai Romani, altro testo-fotografia di don Penna: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti sarai salvo” (Rm 10,9). Con questa fede – la fede di San Paolo – don Penna è andato incontro al Signore. Lo ringraziamo per la sua ultima testimonianza e per la sua intercessione, chiediamo al Signore, che possiamo farlo anche noi.

Maria, regina degli apostoli e madre dei sacerdoti, insieme a tutti i Santi ti accolgano in Paradiso da dove tu continuerai a intercedere per tutti noi, pellegrini di speranza verso la Casa del Padre. Amen